È uscito a giugno per i tipi Itaca una raccolta di lettere inedite che il cardinale Biffi scrisse a suor Emanuela Ghini del Carmelo di Savona nell’arco di più di cinquant’anni. “Lettere a una carmelitana scalza. 1960-2013” gode della prefazione dell’arcivescovo emerito di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, e della postfazione di Matteo Maria Zuppi arcivescovo di Bologna, inoltre l’introduzione e le note sono state curate direttamente da suor Emanuela Ghini.
L’epistolario conserva gli incontri speciali con protagonisti e personaggi della vita ecclesiale del tempo come Luigi Giussani, David Maria Turoldo, Gianfranco Ravasi, Luigi Bettazzi, Giovanni Paolo II, Giuseppe Dossetti. Il libro rappresenta una testimonianza preziosa perché «ci fa conoscere “dal di dentro” una grande figura di pastore-teologo della Chiesa del XX secolo. Assieme a Benedetto XVI, il cardinale Biffi sintetizza in sé e la grande speculazione teologica e l’appassionato impegno pastorale» come scrive nella prefazione il cardinal Caffarra. Il testo manca delle gran parte delle missive indirizzate a Biffi dalla carmelitana ma come afferma nella conclusione sempre l’arcivescovo emerito di Bologna “benché poche siano le lettere rimaste scritte da suor Emanuela a Biffi, quanto scrive il cardinale è sufficiente per constatare quale grande spirito sia la destinataria. Se così non fosse, le lettere di Biffi non avrebbero l’elevato livello spirituale che hanno”.
Nella presentazione suor Emanuela Ghini precisa il messaggio universale delle lettere che, seppur indirizzate a lei, sono rivolte a tutti:
«Le espressioni anche più personali di autentici cristiani – in questo caso di un cristiano della statura spirituale di Giacomo Biffi – non appartengono soltanto a coloro a cui sono dirette; sono della comunità cristiana, della Chiesa, in senso ampio dell’umanità».
Anche Matteo Maria Zuppi conferma nella postafazione l’utilità e la ricchezza dei testi per ciascun credente:
«Sicuramente legava i due un comune amore, ragionato e argomentato, per il Signore. Però non c’è dubbio che le lettere siano oggettivamente testi di direzione spirituale; e come tali possono arricchire anche l’ignoto e ignaro lettore».
Colpisce il senso dell’umorismo, un sano e santo distacco dalle situazioni e dalle cose che lo coinvolgono ma non con disinteresse bensì con leggerezza, levità. Nelle pagine emerge il sentirsi profondamente prete e pastore, l’ironia e l’autoironia mai spietata, l’interesse per i piccoli, per le cose ordinarie e per l’ortodossia «Soltanto nell’ortodossia ci si salva dai fanatismi e dalle esaltazioni bigotte, senza cadere nello scetticismo», l’amore per il conformismo:
«[…] io adoro il conformismo. In un mondo così squinternato, la sola filosofia veramente estrosa e originale mi sembra l’ortodossia, il più alto esercizio di libertà, l’orizzonte delle piccole e delle grandi norme, la massima espressione della mia fantasia e della mia personalità, la gioiosa sottomissione ai riti, soprattutto perché mi appaiono i piccoli riflessi di una grande bellezza. E se tutto ciò appare paradossale, è perché nel concerto delle pazzie in libera uscita ogni manifestazione di sanità mentale è vista necessariamente come un paradosso».
Nelle lettere si respira il silenzio del Carmelo di Savona, dove è immersa Emanuela Ghini e gli impegni pastorali di Biffi, l’incontro e il confronto di due cammini diversi che in virtù dell’amicizia e del rispetto reciproco si fanno compagni, sostenendosi a vicenda.
Il loro è un costante e frizzante dialogo fra una «corrispondente indocile e a volte ribelle, contestatrice e mai arresa al fatto cristiano», secondo quanto scrive di sé Emanuela Ghini nell’Introduzione, e un «amico reazionario, che è abbastanza amante della verità e della giustizia, ma insieme ha un po’ troppo il gusto donchisciottesco di assalire i mulini a vento», come si autodefinisce Biffi in una lettera, mostrando l’umorismo che lo contraddistingue.
Suor Emanuela Ghini scrive nella bella introduzione:
“Solo un pastore autentico può scrivere nel 1971 a una con¬testatrice a volte quasi violenta: «L’importante è che continuiamo a volerci bene e a dialogare con franchezza, senza plagiarci vicendevolmente e senza prepotenze»”.
«Don Dossetti mi ha fatto molto impressione per la lucidità delle sue visioni e per l’assoluta purezza del suo impegno. È un profeta ed è un dono incontrarlo. Anche se io, da parroco milanese, avverto nella sua posizione come l’assenza di una mediazione tra l’assoluto e la realtà umana con la quale siamo quotidianamente a contatto. Credo però che sia giusto così: ci vogliono i parroci e ci vogliono i profeti, e magari fossero – quelli autentici – più numerosi. Pensa la gioia della mia vanità solleticata, quando don Dossetti ha detto che tra i pochissimi libri che ha portato in Israele, c’è Alla destra del Padre: con grande stupore dei miei compagni presenti che – conoscendomi più da vicino – non mi ritenevano un autore tanto meritevole di considerazione».
«[…] don Luigi Giussani, amico mio carissimo, fondatore e profeta del movimento di «Comunione e Liberazione», che di questi tempi sta raccogliendo un po’ in tutt’Italia, tra i vescovi, il clero e il popolo di Dio, amore e odio ugualmente fanatici. Io non mi sento particolarmente attratto dalle forme del movimento, ma certo il vedere migliaia e migliaia di studenti universitari che di fronte alla prepotenza del Movimento studentesco parlano di Gesù Cristo come se lo incontrassero tutti i giorni all’ora dell’aperitivo, mi impressiona un po’. Certo don Giussani è un uomo di Dio».
«La settimana scorsa abbiamo presentato a Roma l’Opera di S. Ambrogio (è uscito da pochi giorni il quarto volume, che è l’Esamerone) e siamo stati anche ricevuti in udienza privata dal papa. È davvero un uomo magnifico: riesce a incantare anche me, con l’affabilità, la bontà, la scioltezza dalle forme, con le splendide risonanze di una bellissima voce, con l’intelligenza degli occhi; insomma con ogni sorta di affascinante apparenza, sotto la quale senti però una forza d’animo inconsueta e un grande vigore intellettuale. Abbiamo davvero trovato un capo: speriamo che il Signore ce le conservi a lungo».
«Il conclave è stato un’esperienza straordinaria di fraternità, di concordia, di preghiera, d’ispirazione dall’alto: un’esperienza che mi ha segnato e commosso. Ho visto al ritorno le ipotesi e le supposizioni dei giornali: sono tutte lontanissime da quello che in realtà stava accadendo. È ovvio, del resto: la Chiesa, nata a Pentecoste, è opera permanente dello Spirito e l’uomo psychikòs (cioè l’uomo lasciato alle sole sue forze) non comprende le cose dello Spirito di Dio (1Cor 2,14). Un messaggio però dovrebbe essere stato chiaro per tutti. Scegliendo, in sole ventiquattro ore, colui che nell’immaginario collettivo era naturalmente associato alla “fede” e alla sua salvaguardia, il collegio cardinalizio ha detto che, tra i molti e gravi problemi, quello della fede autentica e piena è il primo e il più inderogabile. Al cardinal Ratzinger mi associava da sempre una grande consonanza umana e spirituale, e conoscevo bene la finezza del suo animo e la sua connaturata gentilezza, oltre che il suo amore libero e forte al Signore Gesù e alla Chiesa. Puoi immaginare perciò la mia consolazione e la mia gioia di questi giorni».
«[…] quando uno è convinto che Dio esiste e che Gesù Cristo è risorto nel profondo del suo essere non può non essere allegro».
Aleteia