Santa Teresa d’Avila fu proclamata Dottore della Chiesa da Papa Paolo VI nel 1970. Nell’omelia di proclamazione il pontefice così la descrisse: «(…) la vediamo apparire davanti a noi, come donna eccezionale, come religiosa, che, tutta velata di umiltà, di penitenza e di semplicità, irradia intorno a sé la fiamma della sua vitalità umana e della sua vivacità spirituale, e poi come riformatrice e fondatrice d’uno storico e insigne Ordine religioso, e scrittrice genialissima e feconda, maestra di vita spirituale, contemplativa incomparabile e indefessamente attiva; com’è grande! com’è unica! com’è umana! com’è attraente questa figura!».
Il libro “Teresa d’Avila maestra di preghiera” (Àncora editrice) raccoglie le meditazioni del cardinale Carlo Maria Martini tenute durante un pellegrinaggio ad Avila con un gruppo di sacerdoti della diocesi di Milano nel 1995. Santa Teresa d’Avila risponde con la sua vita alla richiesta che i discepoli fanno a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare». Infatti il cardinal Martini dedica una parte notevole della sua riflessione al tema della preghiera nell’esperienza della Santa. Teresa identifica nella preghiera personale tre fasi: la preghiera spontanea, la preghiera difficile e la preghiera-dono.
La preghiera spontanea
“Per preghiera spontanea intendiamo quella che nasce dentro facilmente, senza sforzo, senza metodo, stimolata da quanto conosciamo della Rivelazione; è come una risposta istintiva a Dio che si rivela. Essa è presente in ciascun uomo, in ciascuna persona umana, pur se in modi assai diversi. Teresa l’ha praticata fin dall’infanzia. Scriverà che già prima di entrare nella vita religiosa aveva una specie di incontro quotidiano con Cristo nell’orto degli Ulivi: «Sono convinta che da ciò la mia anima si sia molto avvantaggiata, perché cominciavo a fare orazione senza neppur sapere che cosa fosse»”.
La preghiera difficile
Teresa, sottolinea l’autore, incontrò grandi difficoltà quando passò dalla preghiera spontanea, occasionale e momentanea a un’orazione più sistematica e costante.
Desiderare quasi il momento della fine della preghiera
“La prima è una difficoltà di tipo psicologico, che chiama incapacità discorsiva: era incapace di immaginare, ragionare alla presenza di Dio, impotente a meditare. Ciò che le dava soprattutto fastidio era l’assoluta insubordinazione dei propri pensieri, per cui diceva che annullavano la sua determinazione; questo turbinio di pensieri va e viene tra lei e Dio, come una ruota di mulino, come un seccatore, come un pazzo installatosi dentro casa. Tutto ciò rende molto faticoso quel suo tentativo di orazione, lo riduce a momenti passeggeri, che non riesce a prolungare. La constatazione di questa impotenza, parziale, ma inesorabile, è molto viva e molto sofferta. Difatti ella dice: «Spesso per alcuni anni badavo più a desiderare che l’ora dell’orazione finisse e ad attendere il segno dell’orologio che a sforzarmi di pregare. Molte volte non so quale grave penitenza avrei preferita a quella di raccogliermi per fare orazione. […]»”. Teresa si scontrò con questa grande difficoltà per circa vent’anni, e per un anno e mezzo quasi abbandonò del tutto la preghiera, ma poi la riprese supportata da alcuni strumenti che l’aiutarono a raggiungere il suo scopo.
L’aiuto del libro, uno scudo contro i pensieri
«In tutti questi anni, tranne dopo la comunione, non osavo mai cominciare a fare orazione senza libro perché temevo di trovarmi nell’orazione senza di esso, come di lottare con un grande esercito» (…) Con questo aiuto, che era come una compagnia, uno scudo contro gli assalti dei molti pensieri, restavo consolata. Infatti non ero sempre nell’aridità, ma quando mi mancava il libro sì, mentre con il libro mi cominciavo a raccogliere e con dolcezza orientavo l’anima a Dio».
Incoerenza tra preghiera e vita
La seconda difficoltà è la scoperta dell’incoerenza della vita con i momenti di orazione. Spiega il cardinal Martini che la santa desiderò sempre l’incontro con Dio e la piena uniformità alla Sua volontà, ma per lungo tempo si sentì distratta dalle amicizie e dagli affetti, continuamente divisa e combattuta tra il mondo e il Signore. «Cadevo e mi rialzavo e mi rialzavo così male che tornavo ancora a cadere. Ero così in basso in fatto di perfezione […] che la mia era una delle vite più penose che si possano immaginare, perché non godevo di Dio né mi sentivo contenta col mondo. Quando ero nelle gioie del mondo, il pensiero di quello che dovevo a Dio mi dava pena; e quando ero con Dio, gli affetti del mondo mi disturbavano. Era una lotta così penosa che non so come sia riuscita a sopportarla per un mese, nonché per tanti anni».
«Se la vita non è autentica, non può esserlo neppure la preghiera»
La Santa avvertì fortemente dentro sé quel senso di incoerenza tra preghiera e vita, che ogni uomo in parte prova nel proprio cammino. Le venne così un dubbio profondo: se l’esistenza non è autentica come può esserlo la preghiera?
Immedesimarsi nei personaggi biblici
L’aiuto Teresa lo trovò nel confronto e nell’immedesimazione nei personaggi biblici: «(…) la Vergine ai piedi della croce, la Maddalena, la Samaritana, san Paolo al momento della conversione, Giobbe. Per esempio, scrive nella Vita: «Quante volte mi ricordo dell’acqua viva di cui parlò il Signore alla Samaritana! Quel fatto del Vangelo mi è molto caro, mi era caro fin da bambina, sebbene non capissi come adesso questo bene. Supplicavo spesso il Signore a darmi quell’acqua. In camera mia c’era un quadro che rappresentava Gesù vicino al pozzo, con sotto le parole: Domine, da mihi aquam». Con una sorta di lectio embrionale cercava continuamente di ridare autenticità a una vita che riteneva non autentica e nella quale tuttavia non cessava di invocare il Signore perché la unificasse nella preghiera».
La preghiera-dono è “il senso della presenza di Dio”
Il periodo della preghiera difficile durò vent’anni e poi finalmente giunse per la Santa un momento di passaggio e cambiamento fondamentale: entrò un giorno nell’Oratorio e soffermò il suo sguardo su una statua che raffigurava Gesù coperto di piaghe e così… “nel vederla mi sentii tutta commuovere perché rappresentava dal vivo quanto Egli aveva sofferto per noi”. Continua il cardinal Martini: “La sua preghiera difficile aveva ottenuto finalmente quella purificazione faticosissima ma necessaria dalla presunzione di sé, rendendola pronta ad affidarsi unicamente al Signore. (…) È così spiegata la ragione della preghiera difficile: era un cammino positivo di purificazione, di cui non coglieva il senso, un disegno misterioso di Dio che operava per la sua purificazione”.
Teresa attraverso le sue opere insegna a pregare… pregando
Vogliamo concludere con le parole di papa Benedetto XVI che, parlando dell’assoluta centralità della preghiera in Santa Teresa d’Avila, durante una sua omelia così disse: «(…) La preghiera è vita e si sviluppa gradualmente di pari passo con la crescita della vita cristiana: comincia con la preghiera vocale, passa per l’interiorizzazione attraverso la meditazione e il raccoglimento, fino a giungere all’unione d’amore con Cristo e con la Santissima Trinità. Ovviamente non si tratta di uno sviluppo in cui salire ai gradini più alti vuol dire lasciare il precedente tipo di preghiera, ma è piuttosto un approfondirsi graduale del rapporto con Dio che avvolge tutta la vita. Più che una pedagogia della preghiera, quella di Teresa è una vera “mistagogia”: al lettore delle sue opere insegna a pregare pregando ella stessa con lui (…)».