Cara Elisabetta, se credi che io sia amore, allora diffondi amore!

Andando a scavare nelle sue numerose lettere. Elisabetta pone a fondamento della sua corrispondenza e quindi delle sue relazioni la frase della prima lettera di Giovanni: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (l Gv 4,16). Il suo programma di vita diviene il desiderio di vivere «senza sosta, attraverso ogni cosa, con Colui che abita in noi e che è Carità» (L 179).

Scrive alla sorella Guite: «Sii il suo paradiso in quel paese in cui Egli è così poco conosciuto, così poco amato, apri il tuo cuore quanto più ti è possibile per ospitarlo, e poi lì, nella tua celletta, ama, mia Guite!… Egli ha sete d’amore…» (L 210). Dio ha sete d’amore. Ma prima di mettersi in gioco nella prospettiva dell’amore, prima di qualsiasi impegno concreto nella via dell’amore operoso, viene la scoperta dell’amore divino che precede sempre. Essere figli è fidarsi, credere di essere amati.

Inoltre la carmelitana è chiamata a vivere e a testimoniare questo Amore in un modo del tutto particolare: «Io credo che la carmelitana attinga (…) la sua felicità a questa sorgente divina: la fede. Crede, come dice san Giovanni, “all’amore che Dio ha avuto per lei”. Crede che questo stesso amore l’ha attirato sulla terra…Allora, in tutta semplicità, obbedisce al comandamento così dolce e vive nell’intimità con il Dio che dimora in lei, che le è più presente di quanto ella lo sia a se stessa. Tutto questo (…) non è frutto di sentimento o di immaginazione, è fede pura» (L236).

Verso la fine del mese di aprile, scrive quasi come in un testamento alla sorella: «Ti lascio la mia devozione per i Tre, all’Amore» (L 269).  Nella stessa lettera aggiunge il suo invito pressante: «Credi sempre all’Amore. Se ti capita di soffrire, pensa che sei ancora più amata, e canta sempre il tuo grazie». Il Dio rivelato in Gesù Cristo, infatti, «è un Dio d’amore; non riusciamo a capire fino a che punto ci ama, soprattutto quando ci mette alla prova» (L 267). «…Anche quando non lo sentiremo, [scrive più tardi] crederemo alla sua azione che è tutta amore» (L 301). Conoscere l’amore di Dio per noi è credere a questo amore: «ecco qui il grande atto della nostra fede; è il mezzo di rendere al nostro Dio amore per amoreè questo il segreto nascosto…”

Questa convinzione accresce in lei fino a punto da lasciarla come un testamento spirituale, scrivendo – a poche settimane dalla morte – le due lettere seguenti: «…è ciò che ha fatto della mia vita (…) un Cielo anticipato: credere che un Essere che si chiama l’Amore abita in noi ad ogni istante del giorno e della notte e che ci chiede di vivere in società con Lui, ricevere allo stesso modo come procedenti direttamente dal suo amore ogni gioia, come ogni dolore; questo innalza l’anima al di sopra di ciò che passa, di ciò che stritola, e la fa riposare nella pace»(L330). La fede ”nell’amore eccessivo” ha per lei un taglio esperienziale: è nella propria vocazione, negli eventi della propria vita che Elisabetta rilegge la verità di un Amore che supera ogni attesa ed ogni merito. E questa lettura raggiunge il proprio culmine di fronte alla realtà della sofferenza: «Quando una grande sofferenza o un piccolissimo sacrificio ci si presenta, oh, pensiamo immediatamente che “ è la nostra ora ”, l’ora in cui dimostreremo il nostro amore a Colui che ci ha “ troppo amato ”, dice san Paolo » (L 308).

Concludo con questa citazione di una delle ultime lettere di Elisabetta proprio come se lei scrivesse a ciascuna di noi e ci ponesse l’invito carico di profondo affetto di lasciarci semplicemente abitare da Dio: «…Le lascio la mia fede nella presenza di Dio, del Dio tutto Amore che abita nelle nostre anime. Glielo confido: è questa intimità con Lui “al di dentro” che è stata il bel sole che ha irradiato la mia vita, facendone già come un Cielo anticipato; è ciò che mi sostiene oggi nella sofferenza» (L 333).


Suor Roberta del Cuore di Maria

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