Cambiare lo sguardo
Quando mi sembrò di capire che il Signore mi chiamava al Carmelo, non esitai a mettermi alla ricerca di quel luogo nel quale la mia vita potesse davvero essere consegnata a Lui solo, potesse divenire fattivamente sua in ogni frammento e si potesse nascondere veramente con Cristo in Dio. I versi della solitudine e del silenzio si libravano nella mia anima come respiro di libertà e credevo, sinceramente, che la forza ricevuta dall’alto per lasciare le cose, mi garantisse di spezzare ogni legame con tutto ciò che Dio non era. … Mi ritrovai al Carmelo con l’energia di chi crede di essere pronta, forse, a fiorire in un nuovo terreno ma ahimè non pronta a morire. Sacrifici e peripezie affrontate per lasciare la vita precedente non erano sufficienti per Dio, Lui voleva tutto…. Voleva che scegliessi tutto. E bussò alla porta del cuore perché proprio dal cuore si sganciassero tutte le ancore che mi tenevano e tengono ancora attraccata alla terra ferma dell’autoreferenzialità. Ha scelto la via che meno mi aspettavo, la più intima, quella che agli occhi altrui può risultare banale, superficialmente attribuibile ai limiti e alle diversità, quella via che attraversa le relazioni e il modo di stare in esse, una via ordinaria, battuta tutti i giorni, non eccellente, non eclatante, non visibile ma radicale e determinante.
Non esiste giorno da quando sono qua nel quale Dio non abbia bussato per chiedermi, di dargli il cuore, la mente, i pensieri, la volontà, tutto! Lo ha fatto e fa con forza , attraversa l’immagine di me, la mia autostima, i miei bisogni, lo ha fatto e lo fa attraverso il gioco forza di continui equilibri da creare o ristabilire che mi obbliga ad elevare lo sguardo e a puntarlo solo su Lui. Allora, mentre il mio cuore vuole piegarsi come un giunco per far passare la piena di un amore, quello di Dio, che con veemenza vuole riempirmi e trasformare, la mia volontà si solleva con gratitudine e gioia… perché coglie che non è nell’oggettività delle richieste che si sperimenta la predilezione del Signore, non è nella coerenza che si gusta la fiducia di osare verso il di più, non è nel plauso pubblico che si procede nel cammino di purificazione e santità.
Ricordo che quando varcai per la prima volta la soglia del monastero per una iniziale esperienza e un percorso condiviso di discernimento, subito ho avuto modo di vivere i ritmi della comunità, di partecipare alla vita liturgica, condividere spazi di preghiera di lavoro, di vita fraterna, …. Paura e desiderio entrarono in lotta dentro di me. Perché mi sembrava di cogliere che tutto, anche i gesti più ordinari del quotidiano, fossero intimamente connessi alla vita del coro e tutto risuonasse come espressione di un’unica grande Lode ma era tutto definito in uno spazio circoscritto, tutto ridotto dentro quattro mura… tutto sott’occhio…
Mi colpiva la “libertà” con la quale mi si permise di entrare nella quotidianità….Come tutte mi alzavo molto presto, insieme a loro, ho spento le luci per la notte quando ancora nel mondo è prima sera…. Ho guardato e riguardato i volti di ciascuna e conversato. Ho riso di cuore per i palpiti gioiosi di genuini racconti di vita familiare, frammisti a simpatici qui pro quo e a buffi aneddoti. Ho ascoltato, piacevolmente, ricordi, pezzi di storia che alimentano il respiro di una vita insieme nel nome di un TU.
Ho condiviso le mie domande e fatto tesoro anche di ogni frammento di silenzio che abitava il monastero. Tutto mi parlava di uno “stare” –sincero, vero, gioioso e concreto, – nascoste con Cristo in Dio. Risuonava in modo forte e provocatoria la dimensione della solitudine. Mi sembrava di essere immersa nell’esperienza dell’Esodo nel deserto, senza sentieri, senza segnaletiche però con la certezza di andare verso il Monte sul quale Dio si rivela. L’impatto è stato fortissimo….E sono rimasta! Oggi il cammino è concreto, oggi sono parte integrante della comunità, oggi la vita monastica carmelitana è la mia vita, oggi faccio esperienza di un processo che mi inoltra sempre più consapevolmente nel silenzio e nella solitudine di una vita “ritirata”, nella quale pian piano il cuore si dilata , la vita si sviluppa in profondità. Oggi “comprendo” meglio che quello che siamo e viviamo poiché nessuno lo vede, apparentemente nessuno ne ha beneficio, è solo per Lui. Oggi con più verità, si fa strada in me la consapevolezza che la mia vocazione e il mio compito di monaca carmelitana nella Chiesa è cambiare il mio sguardo, è stare con gli occhi fissi su Gesù e portare attraverso i suoi occhi un altro sguardo sul mondo, su me stessa, su tutto.
Silvano del Monte Athos affermava: “il monaco è uno che piange e prega per il mondo intero”... Per tenere tutti nel cuore con la tenerezza di Cristo.
Monastero Janua Coeli