Chiamati ad essere dei contemplativi

Il Carmelitano è chiamato ad essere un contemplativo. Il contemplativo non è esclusivamente colui/ei che vive in un monastero di clausura. Ci sono molte persone contemplative che vivono fra la gente, in mezzo ad un mondo tanto “indaffarato”, efficiente. Esistono contemplativi in ogni quartiere e in ogni settore della vita. La parola “contemplativo”, infatti, non si riferisce esclusivamente ad uno stato di vita, ma ad un modo specifico di vivere il rapporto con Dio, di relazionarsi a Lui.

Per la nostra specifica chiamata alla vita carmelitana, siamo altresì chiamati ad essere dei contemplativi; ma, tutto ciò, che valenza ricopre nel concreto? Cosa significa ricercare il Volto del Dio Vivente? Sicuramente, fin dai nostri primi anni di infanzia, ci hanno insegnato che il Signore è dovunque e, perciò, che è vicinissimo a ciascuno di noi; quindi, non ci dovrebbe essere alcuna necessità di cercarLo.

Però è anche vero che il nostro Dio è un Dio “inafferrabile”. Dio non può essere compreso dalla mente umana. Sappiamo per esperienza che solo Dio può soddisfarci in modo pieno, dal momento che siamo stati da Lui creati dotandoci della capacità spirituale di “riceverLo”. Il desiderio del Signore, per esprimerci così, è di unirsi a noi in un modo misterioso, tale che le parole umane sono incapaci a descriverlo.

Questo è il dono di Dio, che non sarà concesso a chi non desidera riceverlo. Credo che questo “desiderio” di Dio, ossia ciò che il Signore vuole donare ad ogni uomo, sia splendidamente riassunto nel seguente estratto tratto dalla Lettera agli Efesini: “Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen” (Ef. 3,14-21).

L’autore vuole che ciascuno di noi sia “ricolmo” dell’assoluta pienezza di Dio. Il mistico deve essere colui/ei che è “riempito” dalla pienezza assoluta di Dio. Il misticismo o contemplazione non è per una “élite” di pochi: è per tutti. Ricordiamo le parole profetiche di Karl Rahner, “Il Cristiano del futuro sarà un mistico, o non sarà affatto un Cristiano.” Essere un “mistico” vuol dire divenire un amico intimo di Dio. Questa è la chiamata che riceviamo nel battesimo, ed il misticismo, o contemplazione, è la fioritura piena della grazia battesimale. Nel nostro mondo noi stiamo testimoniando una “sete” di preghiera: “sete” di Dio. La spiritualità del Carmelitano/a può condurre la gente alla sorgente dell’ “acqua viva”, presso cui la loro sete può essere estinta. Da noi, in qualità di Carmelitani, non viene solamente richiesto di essere dei bravi sacerdoti o insegnanti, ma ci si è attende da noi anche, e soprattutto, la capacità di guidare le persone nella loro ricerca di Dio. Ci si aspetta che sappiamo parlare di Dio a partire dalla nostra esperienza personale.

Per essere capaci di “dirigere” altri fratelli alla Fonte dell’ “acqua viva”, noi dobbiamo sapere qualcosa del “deserto”, che è una parte necessaria ed integrante della nostra vocazione. Il “deserto” può assumere molte forme. Può, ad esempio, sopraggiungere nella forma di una malattia oppure di un compito assegnatoci in una circostanza difficile; oppure presentarsi come fallimento o incapacità da parte nostra ad essere stati eletti in una posizione di autorità o come rimozione da qualche servizio che avevamo fatto “nostro”; ancora, può presentarsi come cambiamento da una comunità in cui ci sentivamo a nostro agio, e così via. Il Signore si serve delle cose quotidiane della vita per sfidarci a crescere, per “muoverci” dal punto in cui ci troviamo e condurci là dove siamo capaci di poter arrivare. Questo è un cammino difficile che noi non vogliamo realmente compiere e così Dio ci dà una spinta per porci nella condizione di poterci muovere e continuare il nostro “viaggio” quando ci “blocchiamo”.

Il “deserto” è là, dove Dio erompe nel nostro piccolo mondo comodo e demolisce alcune delle cose che hanno costituito la nostra sicurezza nel passato, così che da poter imparare, per esperienza, che la nostra sicurezza può essere basata solamente in Dio. Il “deserto” non giunge mai nel modo che noi ci aspettiamo così da non poter controllare quello che sta succedendo. La fede alla quale siamo chiamati è molto radicale dal momento che va alle radici della nostra esistenza, poiché siamo gradualmente trasformati per diventare ciò che il Signore sa che possiamo divenire. Siamo interpellati ad assumerci il rischio di saper cedere il controllo della nostra stessa vita e di permettere a Dio di prenderne le “redini”. Maria, nostra Madre e nostra sorella, ce ne indichi la maniera. Lei, che permise a Dio di avere pieno diritto sulla sua vita, ci interpella a fare la stessa scelta. Troppo spesso “releghiamo” la Madonna ad una semplice immagine e le recitiamo belle preghiere, ma non prestiamo attenzione a quello che ci dice attraverso la Scrittura. Ricordiamo ciò che disse ai servi alla festa di nozze: “Fate qualunque cosa vi dirà” (Gv 2, 5).

Ordine dei Carmelitani

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