E adesso parlo io…

Un gruppo di catechiste di Verona: “È possibile trasmettere e far meditare la Parola di Dio ai bambini?” È una domanda che ogni catechista si pone quando intraprende l’avventura della catechesi con i bambini. La riflessione che segue è nata all’interno del gruppo di adulti che si incontra regolarmente per approfondire la Parola di Dio come mezzo per un più diretto e profondo rapporto con il Signore. In questo contesto è sorta l’esigenza di capire come e se il bambino tecnologico di oggi, a volte apatico e a volte iperattivo, sia ancora capace di ascoltare la Parola e di entrare in sintonia con essa.

In quest’anno catechistico, dopo molteplici riflessioni e approfondimenti, un gruppo di catechiste, con l’appoggio del parroco, ha pensato di attuare il metodo di preghiera ideato da padre Maria Eugenio di Gesù Bambino, frate carmelitano e fondatore dell’istituto Notre-Dame de Vie. Il metodo di preghiera carmelitana ci ha fornito le risposte necessarie. Eugenio infatti non si stancava mai di affermare che i bambini sono in grado di conoscere Dio, di amarLo e apprezzarLo per il suo Amore. Egli desiderava offrire ai bambini un’esperienza di fede che li facesse entrare in relazione con Dio ed insegnare loro a cercarLo e a trovarLo nella profondità del loro cuore, educandoli a pregare e a parlare con Dio. Di seguito proviamo a descrivere i momenti essenziali di questo metodo così come sono stati da noi proposti e vissuti con un gruppo di bambini.

L’incontro si svolge in un ambiente che si può definire liturgico: i bambini trovano uno spazio bello e curato, dove si parla sotto voce. È gradito il silenzio trattenuto nelle mani poste come una culla, la stessa che accolse Gesù a Betlemme e che più tardi abbracceranno Gesù Eucarestia. Si passa poi alle parole preparate dalla catechista, affinché ogni bambino possa fare esperienza di incontro con una persona reale, viva.

Ognuno di noi cerca una relazione, ma sembra che nella persona di Dio il bambino trovi una corrispondenza davvero particolare. Tante volte in questo anno catechistico abbiamo avuto l’impressione che i bambini dicessero di aver trovato l’ambiente vitale che li appagava nell’intimità del loro animo. Noi catechisti abbiamo percepito tutto questo nel vederli profondamente concentrati e toccati da una gioia particolarissima. Quando un bambino dice: “Come sto bene qui!”  desidera stare, non andare via, continuare in quella sua esperienza. Questo e molti altri sono i piccoli o grandi miracoli che abbiamo vissuto in questa storia; segno di una attrazione particolare tra i due soggetti. Verrebbe da dire: Dio ed il bambino “se la intendono”.

Una diversa visione di catechesi: trasmettere quello che si è ricevuto, tenendo presente innanzi tutto che non si tratta di un insegnamento di tipo scolastico e che il bambino non è un “sacco” vuoto da riempire. L’annuncio viene dato nel modo più “disinteressato” possibile: “io te lo do, e poi lo amministri tu; una volta che ho fatto la mia parte, basta, ora scatta la parte che spetta a te”. Il catechista, se eccessivamente presente, può disturbare, può impedire invece di favorire la comunicazione tra il bambino e il Signore. L’importante è questo secondo momento, quello in cui il bambino sta da solo, ripensando a Gesù. Il momento del lavoro personale è il momento più costruttivo, è l’ascolto delle parole del suo cuore. Non siamo noi che insegniamo, e questo per gli adulti è difficile da accettare.

Si può essere semplici senza diventare banali. C’e una grande differenza tra semplicità e semplificazione. Le cose grandi sono semplici. Dio è semplice. Il mistero della Trinità sarebbe semplice se noi non lo complicassimo. Ai bambini certamente vanno date le cose semplici, ma le cose semplici corrispondono alle cose essenziali, quindi alle cose grandi. Esse devono essere date in un certo modo, corrispondente al soggetto stesso, a chi lo riceve. La semplificazione no: l’angioletto, il bambinello…

La grande disciplina che impone questa metodologia catechetica è proprio questa: la fedeltà all’essenziale. Nella scelta dei temi e nel modo di presentarli. Con i bambini piccoli tutto questo risulta immediatamente evidente: se ci si attarda su aspetti secondari, si avverte immediatamente che si stanno “perdendo”, che non ti seguono. Bisogna annunciare il kerigma nella sua essenzialità. Questa è stata l’esperienza più grande per noi catechiste: sentirsi costantemente “costrette” all’essenzialità. Per noi adulti-catechisti, abituati a una certa verbosità, è una scuola dura e al contempo bellissima.

Il materiale non è pesantemente didattico, perché consiste in silohuette sostenute da asticelle di legno che rappresentano i personaggi. Per mezzo di esse, i bambini rivivono un Incontro. È un materiale di aiuto alla meditazione del bambino: permette di continuare a considerare quanto è stato presentato, indipendentemente dalla presenza dell’ adulto. L’ adulto ha la funzione di indicare alcuni punti, con la vigile avvertenza di farsi da parte al momento opportuno per lasciare il posto all’intima conversazione del bambino con Dio.

Il catechista è il servo inutile. Sant’ Agostino ci dice come si fa ad imparare: prima ci vuole qualcuno che annunci, ma il momento importante dell’apprendimento è dopo, quando si medita dentro di sé quello che si è ascoltato. Lo dice chiaro, ego numquam possum docere (In nessun modo io posso insegnare). Così può accadere che, mentre la catechista annuncia la Parola, un bambino si alzi in piedi e interrompendo il discorso chieda di parlare non con la catechista ma… con Gesù! Due sguardi si incrociano, il cuore batte forte e il bambino dice: “Gesù ti amo”. Un’altra volta, colorando una croce bianca in preparazione alla Pasqua, un bambino scrive : “ Io so che Gesù risorgerà!”. Per l’emozione, noi catechiste non siamo state più capaci di continuare.

L’esperienza che abbiamo maturato, mettendo in pratica questo nuovo metodo, è che dobbiamo riconoscere che i bambini sono completamente “catturati” al pensiero che Dio con Gesù e lo Spirito Santo entra nei loro cuori e li fa sentire amati da quell’amore più grande che Dio Padre. L’attenzione e l’ascolto dei bambini durante gli incontri sono stati la conferma di ciò che padre Eugenio credeva e di cui era convinto. Attraverso l’ausilio del Vangelo e delle immagini che lo rappresentano, i bambini si abituano ad avere familiarità con la Parola di Dio, ed incontro dopo incontro entrano in relazione con Lui. La preghiera comincia a far parte della loro vita e spontaneamente imparano a pregare ed il dialogo con Dio diventa uno scambio di Parole d’Amore.

Istituto Notre-Dame de Vie

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