“Ecco quanto possiamo e dobbiamo fare: aprirci alla grazia, e cioè rinunciare completamente alla nostra propria volontà e renderla prigioniera della volontà divina, mettere nelle mani di Dio tutta la nostra anima, tutta la nostra capacità di accoglienza e la disposizione al lasciarsi formare. Ne viene in primo luogo il divenire insieme vuoti e silenziosi. Per natura, l’anima è colma di molte cose, tanto che l’una cosa scaccia l’altra, rincorrendosi continuamente, sempre in tempesta e agitazione. Quando al mattino ci svegliamo, i doveri e le preoccupazioni della giornata vorrebbero incalzarci (a mano che non ci abbiano già tolto la tranquillità notturna). Sorge la domanda inquieta: Come può essere compiuto tutto in un sol giorno? Quando farò questo, quando farò quello? E come devo affrontare questo e quello? Si vorrebbe scattare e avventarsi sopra, come se fossimo aizzati. Allora bisogna prendere le redini in mano e dire: Fermi! Per ora non devo fare nulla. La mia prima ora del mattino appartiene al Signore. Voglio cominciare il lavoro quotidiano che Egli mi affida e mi darà la forza di compierlo. Voglio prima avviarmi all’altare di Dio.
Qui non si tratta di me e delle mie minuscole povere faccende, ma del grande sacrificio della Redenzione. Devo prendervi parte, lasciarmi purificare e rendere gioiosa, porre sull’altare con il sacrificio me stessa con tutto il mio agire e il mio soffrire. E quando il Signore viene a me nella santa Comunione, allora devo chiederGli: “Che cosa vuoi da me Signore?» (santa Teresa). E, quello che dopo il silente dialogo, vedrò davanti a me come primo compito, lo farò. Se entro nella mia giornata lavorativa dopo questa festa mattutina, ci sarà una calma festosa in me, e l’anima sarà vuota da quanto vorrebbe inquietarla e affaticarla, mentre sarà, al contrario, colma di gioia, di coraggio ed energia. Essa è diventata grande e ampia, perché è uscita da sé ed è entrata nella vita divina. Come una fiamma silente arde in lei l’amore che il Signore ha acceso, e la sollecita a dimostrarlo e ad accenderlo negli altri: flammescat igne caritas, accendat ardor proximos. L’anima vede chiaramente davanti a sé il piccolo tratto di strada più vicino; non vede molto lontano, ma sa che quando giungerà là dove si staglia 1’orizzonte, allora le si aprirà una nuova prospettiva. Ora inizia il lavoro quotidiano. Forse l’insegnamento, quattro o cinque ore consecutive. Questo significa essere vigili, non si può ottenere da ogni ora quanto si vuole, forse neppure da nessuna. Stanchezza, interruzioni impreviste, impreparazione degli allievi, qualche tetraggine, qualche ribellione, qualche ansietà. Oppure il lavoro d’ufficio: rapporto con superiori e colleghi sgraditi, pretese inadempibili, rimproveri ingiusti, meschinità umane, forse anche miseria, nei più svariati modi. Giunge la pausa del mezzogiorno. Si arriva a casa stremati, a pezzi. Qui ci attendono forse nuove contestazioni.
Dov’è la freschezza mattutina dell’anima? Di nuovo si vorrebbe ribollire e tempestare: agitazione, rabbia, pentimento. E ancora così tanto da fare fino a sera. Non ci si deve dare da fare subito? No, non prima di entrare, almeno per un momento, nel silenzio. Ognuno deve conoscersi, oppure imparare a conoscersi, per sapere dove e come poter trovare quiete. Il migliore modo, quando si può, è riversare tutte le preoccupazioni, per un breve tempo, davanti al tabernacolo. Chi non lo può, e forse ha anche necessità di un poco di riposo fisico, rimanga brevemente nella propria stanza.
Quando non riesce ad ottenere nessuna calma esterna, quando non c’è un posto in cui possa ritirarsi, quando occupazioni improrogabili gli impediscono un’ora di quiete, allora, almeno interiormente, per un momento, si stacchi da tutto il resto e ci si rifugi nel Signore. Egli è già là e può darci, in un solo attimo, quanto ci è necessario. Così il resto della giornata procederà, forse con grande fatica e stanchezza, ma in pace. E quando giunge la notte e uno sguardo retrospettivo indica che tutto è stato frammentario e molto di quanto si prevedeva, è rimasto inadempiuto, quando questo ci desta confusione e rincrescimento: prendiamo allora tutto così com’è, mettiamolo nelle mani di Dio e abbandoniamolo a Lui. Così ci si potrà riposare in Lui, realmente riposare e iniziare il nuovo giorno come una nuova vita. Questo è un semplice suggerimento di come si può strutturare una giornata, per creare spazio alla grazia di Dio. Ciascuno saprà nel modo migliore come doverla applicare alle sue proprie modalità di vita. Inoltre, dovremmo dimostrare come la domenica dovrebbe essere una grande porta, attraverso la quale può entrare nel quotidiano la vita celeste e la forza per il lavoro di tutta la settimana e, come le grandi solennità, i tempi di festa e di penitenza, vissuti nello spirito della Chiesa, facciano maturare l’anima, di anno in anno, sempre più incontro all’eterno riposo sabbatico. È compito essenziale di ciascuno riflettere su come debba strutturare, secondo il suo desiderio e il suo specifico genere di vita, la sua giornata e il suo anno, per preparare la strada al Signore. La situazione esterna è diversa per ciascuno e anche nel corso del tempo il mutamento delle circostanze deve essere vissuto con elasticità. Ma anche la situazione dell’anima è diversa nelle diverse persone e nei diversi tempi. I mezzi adatti per stringere legami con l’Eterno, farli crescere o anche vivificarli di nuovo, quali la meditazione, la lettura spirituale, la partecipazione alla liturgia, alle devozioni popolari, ecc…, non sono ugualmente fruttuosi per tutti e per tutti i tempi. La meditazione, per esempio, non può essere praticata da tutti e sempre nello stesso modo. È importante, trovare il mezzo realmente più operante e saperlo usare. Sarà bene, per conoscere quanto ci necessita, e particolarmente, se si prevede di mutare un ordine già approvato, ascoltare un consiglio esperto”
E. Stein, Dall’appendice complementare a Fondamenti dell’educazione della donna, datata St Lioben 12 gennaio 1932.