Sono circa venti gli oggetti esposti al Museo delle Anime del Purgatorio a Roma. Lenzuola, libri di preghiere, camicie da notte che recano il segno di un tocco rovente o dell’impronta di una mano. Curiosità religiose? No, molto di più, soprattutto se ci si mettesse a studiare con rigore scientifico certi fenomeni che confermano nella fede. La defunta scendeva le scale del granaio, gemendo e guardando con tristezza la nuora, quasi a chiederle qualcosa.
«Sono tua suocera, morta di parto 30 anni fa. Và in pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora di Mariental e fai celebrare due Sante Messe per me». Questa fu l’esperienza riferita da Margherita Demmerlé, nel 1815, al suo parroco, presso Ellinghen (Metz). Dopo il pellegrinaggio compiuto dalla donna, la figura ricomparve per annunciare la propria liberazione dal Purgatorio. Quando la Demmerlé, dietro consiglio del parroco, le chiese un segno tangibile della visita della suocera, l’apparizione appoggiò la mano su un libro di preghiere e vi lasciò l’impronta bruciata delle cinque dita. Quel libro si trova oggi a Roma: è uno dei circa venti oggetti esposti al Museo delle Anime del Purgatorio, presso la chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, in L.go Tevere Prati. Lenzuola, libri di preghiere, camicie da notte che recano il segno di un tocco rovente o dell’impronta di una mano o di una bruciatura a forma di croce. In un caso addirittura si tratta di un «apporto», la materializzazione di alcune banconote, realizzata dall’anima di un sacerdote defunto che chiedeva, al solito, l’applicazione di sante Messe.
Databili tra il ‘700 e gli inizi del ‘900, i reperti sono esposti al pubblico in una bacheca della sagrestia.
Così abbiamo, ancora, l’impronta di tre dita lasciata su un libro devozionale, dalla defunta Palmira Rastelli, morta nel 1870 e apparsa a Rimini, al fratello, il parroco don Sante Rastelli, nel 1871 per chiedere l’applicazione di sante Messe. Un altro segno venne lasciato sulla tela della camicia da notte della venerabile Madre Isabella Fornari, badessa del monastero di S. Francesco a Todi, dalle mani del defunto P. Panzini, abate olivetano di Mantova, il 1° novembre 1731. Cinque dita di fuoco vennero poi impresse – stando alle didascalie dei reperti – dal defunto Giuseppe Schitz, toccando un libro di preghiere di suo fratello Giorgio, cui apparve nel 1838, chiedendo preghiere per riparare alla sua poca pietà in vita. Questo per citare solo alcuni degli oggetti più interessanti.
Nel 1893, padre Victor Jouet, un missionario marsigliese, architetto, acquistò il terreno sul lungotevere Prati dove, tra il 1894 e il 1917, fece erigere la chiesa in stile neo-gotico, su progetto dell’architetto Giuseppe Gualandi. Il 15 settembre 1897, in una cappella scoppiò un incendio. Tra le macchie di fumo sulla parete dietro l’altare il parroco volle poi riconoscere un volto dall’aria mesta e malinconica, e ritenne che fosse il segno di un defunto che cercava di mettersi in contatto con i vivi. Dopo questo episodio, Jouet cominciò a girare l’Europa, cercando, valutando e selezionando in base all’affidabilità dei possessori, altre testimonianze del genere (quasi tutte le reliquie provengono da ambiti parrocchiali o conventuali). Dopo qualche anno, riuscì a raccogliere un nutrito corpus di oggetti, nell’intento di confermare la credenza, secondo cui le anime del Purgatorio si possono manifestare ai vivi per chiedere preghiere e Messe, accelerando così il loro passaggio in Paradiso. Oggi, non di rado, la reazione media del visitatore cosiddetto «adulto», si limita a un sorrisetto di scetticismo e ad una superficiale curiosità. Tuttavia ci si trova di fronte a testimonianze – vere o presunte che siano – intorno a un tema sul quale, per secoli, hanno dibattuto pensatori e teologi di enorme caratura.
In effetti, questi oggetti sono rimasti relegati fino ad oggi nell’ambito delle curiosità religiose, non sembra che qualcuno abbia mai cercato di realizzare delle serie ricerche sopra di essi. Eppure, bisognerebbe pensare all’importanza che potrebbe rivestire un serio studio scientifico sulla natura di queste impronte. Se si arrivasse a dimostrare l’impossibilità fisica di riprodurle come è il caso dell’impronta sul Telo sindonico? Come noto, una delle ipotesi che riesce a conciliare la maggior parte dei dettagli scientifici oggi disponibili è che l’uomo della Sindone, crudelmente fustigato e crocefisso si sia letteralmente smaterializzato entro 40 ore dalla morte, all’interno del lenzuolo, emettendo un lampo di energia forse anche composta di elettroni e neutroni che impressionarono solo superficialmente la tela come se fosse stata una pellicola fotografica. Non è da escludere che l’esplosione di energia sia stata anche la responsabile dell’alterazione radioattiva del carbonio 14, che farebbe quindi risalire il Telo all’epoca medievale. Secondo il Prof. Giulio Fanti, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova e tra i più autorevoli sindonologi degli ultimi anni, nel mondo dei fenomeni non scientificamente spiegabili e riconducibili al Soprannaturale, varie sono le forme e i modi con cui questi si manifestano. Potrebbe quindi essere interessante, a detta del professore, eseguire delle ricerche su tali segni per capirne di più, oltre che per avere ulteriori indizi dell’esistenza del mondo immateriale che ci circonda. Come spiega Fanti, anche se l’ossidazione e la disidratazione delle fibre dell’immagine corporea del lino sindonico non avranno molto in comune con la carbonizzazione tipica dei reperti in mostra a Roma nel Museo delle Anime del Purgatorio, si potrà avere in mano una chiave in più per cercare di comprendere, anche attraverso le leggi della fisica, i misteri della realtà dell’anima umana, dell’esistenza di creature immateriali come gli angeli e della Risurrezione dai morti.
Andrea Cionci