Il dono del Papa alla Curia: “Voglio vedere Dio” di Padre Eugenio

Il Natale, “festa della fede”, ci apra gli occhi “per abbandonare il superfluo, il falso, il malizioso e il finto, e per vedere l’essenziale, il vero, il buono e l’autentico”. Papa Francesco esprime questo auspicio rivolgendosi alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi nella Sala Clementina. Le riflessioni del Papa sui principi basilari e canonici della Curia si legano anche al contesto dell’attuale riforma in corso. Il Santo Padre ricorda, in particolare, “l’espressione simpatica e significativa di mons. Frédéric-François-Xavier De Mérode”: “Fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti.Ciò evidenzia quanta pazienza, dedizione e delicatezza occorrano per raggiungere tale obbiettivo, in quanto la Curia è un’istituzione antica, complessa, venerabile, composta da uomini provenienti da diverse culture, lingue e costruzioni mentali e che, strutturalmente e da sempre, è legata alla funzione primaziale del Vescovo di Roma nella Chiesa”.

La Curia – afferma il Papa – è progettata ad extra in quanto e finché “legata al Ministero petrino, al servizio della Parola e dell’annuncio della Buona Novella”. Se fosse chiusa in sé stessa, invece, “cadrebbe nell’autoreferenzialità, condannandosi all’autodistruzione”. Quanti operano nell’ambito della Curia romana – “chiamata ad adempiere la propria funzione per il bene e al servizio delle Chiese” – devono essere animati da “un atteggiamento diaconale”. Riferendosi a questo fondamentale servizio, Papa Francesco ricorda l’antico testo presente nella Didascalia Apostolorum nel quale si afferma: “il diacono sia l’orecchio e la bocca del vescovo, il suo cuore e la sua anima”. Per cogliere il senso dell’attenzione a quello che c’è fuori, il Papa indica il modello dell’organismo umano: i sensi “sono il nostro primo legame con il mondo ad extra”. Sono “come un ponte”, “la nostra possibilità di relazionarci”. “I sensi – afferma – ci aiutano a cogliere il reale e ugualmente a collocarci nel reale”. “Questo è molto importante per superare quella squilibrata e degenere logica dei complotti o delle piccole cerchie che in realtà rappresentano – nonostante tutte le loro giustificazioni e buone intenzioni – un cancro che porta all’autoreferenzialità, che si infiltra anche negli organismi ecclesiastici in quanto tali, e in particolare nelle persone che vi operano. Quando questo avviene, però, si perde la gioia del Vangelo, la gioia di comunicare il Cristo e di essere in comunione con Lui; si perde la generosità della nostra consacrazione”.

A questo – spiega il Papa – si aggiunge un altro pericolo: …“ossia quello dei traditori di fiducia o degli approfittatori della maternità della Chiesa, ossia le persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma, ma – non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità – si  lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del ‘Papa non informato’, della ‘vecchia guardia’…, invece di recitare il mea culpa”. “Accanto a queste persone – aggiunge Papa Francesco – ve ne sono poi altre… “che ancora operano nella Curia, alle quali si dà tutto il tempo per riprendere la giusta via, nella speranza che trovino nella pazienza della Chiesa un’opportunità per convertirsi e non per approfittarsene. Questo certamente senza dimenticare la stragrande – la maggioranza – parte di persone fedeli che vi lavorano con lodevole impegno, fedeltà, competenza, dedizione e anche tanta santità”. “La comunione di filiale obbedienza per il servizio al popolo santo di Dio” – aggiunge il Papa – è la relazione primaria. Deve essere anche quella – spiega – che esiste tra tutti coloro che operano nella Curia. “La comunione con Pietro rafforza e rinvigorisce la comunione tra tutti i membri”.

I dicasteri della Curia Romana – osserva inoltre Francesco – sono chiamati ad essere “antenne sensibili”. Antenne emittenti “in quanto abilitate a trasmettere fedelmente la volontà del Papa e dei Superiori”. Antenne riceventi per “cogliere le istanze, le domande, le richieste, le grida, le gioie e le lacrime delle Chiese e del mondo in modo da trasmetterle al vescovo di Roma”. Un ruolo fondamentale, nel rapporto con le Nazioni, è quello della Diplomazia Vaticana, animata dalla “ricerca sincera e costante di rendere la Santa sede un costruttore di ponti, di pace e di dialogo”. L’unico suo interesse – spiega il Papa – “è quello di essere libera da qualsiasi interesse mondano o materiale”. Un altro ambito di primaria importanza – sottolinea il Santo Padre – è il rapporto che lega la Curia alle diocesi e alle Chiese particolari. Si basa “sulla collaborazione, sulla fiducia e mai sulla superiorità o sull’avversità”. Le visite ad limina Apostolorum rappresentano in questo senso “una grande opportunità di incontro, di dialogo e reciproco arricchimento”. Riferendosi alle Chiese orientali, il Papa sottolinea che “il rapporto tra Roma e l’Oriente è di reciproco arricchimento spirituale e liturgico”.

Il Pontefice ricorda poi che ad ottobre si terrà l’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, incentrata sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. “Chiamare la Curia, i Vescovi e tutta la Chiesa a portare una speciale attenzione alle persone dei giovani, non vuol dire guardare soltanto a loro, ma anche mettere a fuoco un tema nodale per un complesso di relazioni e di urgenze: i rapporti intergenerazionali, la famiglia, gli ambiti della pastorale, la vita sociale”. Papa Francesco, affrontando il tema del dialogo ecumenico, ricorda poi che “l’unità si fa camminando”. “Tutte le divergenze teologiche ed ecclesiologiche che ancora dividono i cristiani – afferma – saranno superate soltanto lungo questa via”. Riferendosi al rapporto della Curia con le altre religioni, il Pontefice sottolinea inoltre che 2l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro”.

La parte conclusiva del discorso di Papa Francesco alla Curia è dedicata al Natale: “Il Natale ci ricorda però che una fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi; una fede che non ci fa crescere è una fede che deve crescere; una fede che non ci interroga è una fede sulla quale dobbiamo interrogarci; una fede che non ci anima è una fede che deve essere animata; una fede che non ci sconvolge è una fede che deve essere sconvolta. In realtà, una fede soltanto intellettuale o tiepida è solo una proposta di fede, che potrebbe realizzarsi quando arriverà a coinvolgere il cuore, l’anima, lo spirito e tutto il nostro essere, quando si permette a Dio di nascere e rinascere nella mangiatoia del cuore, quando permettiamo alla stella di Betlemme di guidarci verso il luogo dove giace il Figlio di Dio, non tra i re e il lusso, ma tra i poveri e gli umili”. Per il Natale, il Papa ha donato a quanti lavorano nella Curia la versione italiana dell’opera di Padre Beato Maria Eugenio di Gesù Bambino “Je veux voir Dieu” (“Voglio vedere Dio”). “È un’opera di teologia spirituale: ci farà bene a tutti”. (Vatican News)

 

Il volume costituisce un trattato di teologia mistica ma anche una semplice guida spirituale, nel senso che la realtà della vita spirituale e del suo cammino non sono solo descritte ma anche accompagnate dalla loro giustificazione teologica. Concetti di base, quali, Perfezione, Santità, Contemplazione, Mistica, sono qui definiti con grande chiarezza, senza lasciare spazio ad ogni possibile confusione. Scritto alla vigilia del Concilio Vaticano II da Padre Maria Eugenio di Gesù Bambino (1894-1967), dopo quasi mezzo secolo dalla sua stesura e una tiratura di oltre 100. 000 copie in dieci lingue, il volume è diventato non solo un classico della letteratura spirituale del ventesimo secolo ma anche un punto cardine del pensiero carmelitano. La dottrina infatti viene presentata e sviluppata ricorrendo ai Dottori della Chiesa che appartengono al Carmelo, cioè San Giovanni della Croce e Santa Teresa di Gesù Bambino. L’autore infatti (di cui è in corso la causa di beatificazione e santificazione) è stato carmelitano scalzo francese e fondatore dell’Istituto Nostra Signora della Vita, e negli 11 anni in cui ha vissuto a Roma ha ricoperto la carica di Definitore e Vicario Generale dei Carmelitani Scalzi.

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