È la porta spirituale di Venezia. È la prima chiesa in cui s’imbatte un turista uscendo dalla stazione ferroviaria, e l’ultima a essere visitata lasciando la città. Situata a fianco della stazione di Santa Lucia, la chiesa di Santa Maria di Nazareth, meglio conosciuta come la chiesa dei Carmelitani scalzi, è immediatamente riconoscibile per la sua imponente, ricchissima facciata marmorea, spesso ricoperta dalle impalcature per i restauri dei delicati marmi di Carrara con cui è stata rivestita nel 1680. Molti la vedono e ci entrano, ma pochissimi sanno che proprio dietro l’edificio sacro sorge un convento e soprattutto un singolare giardino. È l’antico brolo (cioè il “giardino recintato”) dei Carmelitani, sorto a metà del Seicento, o meglio quello che resta dell’originario giardino, metà del quale dal 1870 è stato espropriato per far posto ai binari della nuova stazione ferroviaria. La parte restante del giardino, che in origine arrivava a specchiarsi in laguna, in una delle parti ancora periferiche della città, da tempo è inglobata nel centro storico ed è comunque così ampia da averne permesso un importante restauro.
«La riapertura dell’orto-giardino permette oggi al pellegrino di accedere alla comprensione del “carisma carmelitano” in pienezza: chiesa e convento, nella cultura architettonica dell’ordine fondato da Teresa d’Avila sono, infatti, intrinsecamente uniti al giardino», spiega il priore del convento, padre Roberto Magni. «Diversamente dagli altri ordini, infatti, che contemplano sempre la presenza di un chiostro, come simbolo del paradiso, i Carmelitani prediligono il giardino vero e proprio, su indicazione della stessa fondatrice (“Un monastero ha bisogno più di un bel panorama che di una splendida località. Potendolo, abbia pure un giardino”)».
Nel maggio del 2015 è stato inaugurato questo lussureggiante brolo, che a un anno dall’apertura ha già avuto 2.500 visite. Un’équipe di otto guide volontarie, formate dai carmelitani del convento, accompagna i visitatori che vengono introdotti nel cosiddetto “giardino mistico” con le sue sette aiuole. «Mistico non significa misterioso, ma profondo, come i significati religiosi attribuiti alle aiuole che compongono il giardino», osserva il priore. In essi simbologia religiosa e numerologia delle Sacre Scritture si uniscono armoniosamente. Niente è casuale in questa oasi verde: dal numero alla scelta delle piante, dalla loro collocazione alla divisione degli spazi.
Nel giardino protetto da un alto muro, infatti, sette sono le aiuole perché sette sono le “dimore” del Castello Interiore, imponente scritto di santa Teresa nel quale si raccontano sette giorni di vita e di amore verso Dio e il prossimo. A ogni aiuola è abbinato un giorno. «Il camminare esteriore e fisico, che mette in azione tutti sensi, diventa, così, un camminare all’interno della nostra esistenza», commenta padre Fabio Pistillo che ci accompagna lungo il percorso.
La prima aiuola è il prato erboso, che rappresenta la pace e si ricollega alla settima dimora: la pienezza. La seconda è “l’orto dei semplici”, dove sono piantate le erbe medicinali, ed è collegata alla sesta dimora, quella della purificazione. In essa sono coltivate nove erbe medicinali (il 9 è numero che simboleggia la sconfitta del male), ognuna delle quali purifica una parte dell’organismo. In particolare viene coltivata la melissa, dalla quale fin dal 1710 i carmelitani distillano l’acqua omonima, prezioso prodotto d’erboristeria dalla svariate virtù salutistiche.
La terza aiuola è l’orto, collegato alla quinta dimora: la collaborazione tra uomo e natura. La quarta è coltivata a vite e richiama evangelicamente la figura di Gesù, il dono per l’umanità. Il vigneto, da sempre presente nel giardino, è composto da 17 filari (10 come i comandamenti e 7 come i sacramenti). «Grazie all’aiuto dei tecnici del Consorzio vini Venezia, è stata selezionata dalle vecchie viti dei conventi veneziani una vite di malvasia che ha già dato l’anno scorso 50 chili di uva che ha prodotto le prime bottiglie di vino. A regime il vigneto potrà dare fino a 500 chili di uva», commenta padre Roberto.
La quinta aiuola è il frutteto, collegato alla terza dimora, quella della generosità. E gli alberi da frutto sono il simbolo migliore della generosità della terra. Vi sono piantati quaranta tipi d’albero diversi. Non a caso: il numero ricorre spesso nella Bibbia a contrappunto di momenti salienti della storia della salvezza. La sesta aiuola (legata alla seconda dimora, dedicata all’amicizia) è composta da 13 ulivi, allusione a Gesù e i 12 apostoli. E infine l’ultima aiuola, che conclude questo cammino spirituale dell’uomo, è il bosco, composto da otto diversi tipi d’albero tra cui il siliquastro, “l’albero di Giuda”, la marruca, con cui venne fatta la corona di spine di Gesù, e il salice, con i cui rami intrecciati fu fustigato il Signore.
E si arriva alla fine del percorso dov’è posta una cappella dedicata alla Madonna di Lourdes circonda da roseti bianchi, che si può intravvedere fin dall’inizio dell’itinerario guardando dentro quella specie di occhiale ottico che forma il lungo pergolato del giardino.
Al centro del giardino mistico si erge un bellissimo melograno, l’albero della vita, spesso presente negli orti monastici e che dall’antichità simboleggia ricchezza e fecondità, particolarmente caro a san Giovanni della Croce, il primo Carmelitano scalzo (1542-1591).
Oggi questo tesoro nascosto, nel cuore della città dei Dogi, restaurato dall’architetto Giorgio Forti, è stato donato ai veneziani e ai pellegrini. Il trittico “carmelitano” composto da chiesa, convento e giardino è stato finalmente ricomposto.
Alberto Laggia, Credere.