Donna del paradiso,
lo tuo figliolo è priso,
Jesu Cristo beato.
Accurre, donna, e vide
che la gente l’allide !
credo che ‘llo s’occide,
tanto l’on flagellato.
Madonna
Como esser porrìa
che non fece mai follia,
Cristo, la speme mia,
om’ l’avesse pigliato ?
Nunzio
Madonna, egli è traduto,
Juda sì l’ha venduto
trenta denar n’ha ‘vuto,
fatto n’ha gran mercato.
Madonna
Succurri, Magdalena,
gionta m’è adosso piena !
Cristo figlio se mena,
como m’è annunziato.
Nunzio
Succurri, Donna, aiuta !
ch’al tuo figlio se sputa
e la gente lo muta,
hanlo dato a Pilato.
Madonna
O Pilato, non fare
lo figlio mio tormentare,
ch’io te posso mostrare
como a torto è accusato.
Popolo
Crucifige, crucifige !
Omo che se fa rege,
secondo nostra lege,
contradice al senato.
Madonna
Priego che m’entendàti,
nel mio dolor pensàti;
forsa mò ve mutati
de quel ch’avete pensato.
Nunzio
Tragon fuor li ladroni
che sian suoi compagnoni.
Popolo
De spine se coroni !
ché rege s’è chiamato.
Madonna
O figlio, figlio, figlio !
figlio, amoroso giglio,
figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustiato ?
Figlio, occhi giocondi,
figlio, co’ non respondi ?
figlio, perché t’ascondi
dal petto o’ se’ lattato ?
Nunzio
Madonna, ecco la cruce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
dèi essere levato.
Madonna
O croce, que farai ?
el figlio mio torrai ?
e che ce aponerai
ché non ha en sé peccato ?
Nunzio
Succurri, piena de doglia,
ché ‘l tuo figliol se spoglia;
e la gente par che voglia
che sia en croce chiavato.
Madonna
Se glie tollete ‘l vestire,
lassàtelme vedire
come ‘l crudel ferire
tutto l’ha ‘nsanguinato.
Nunzio
Donna, la man gli è presa
e nella croce è stesa,
con un bollon gli è fesa,
tanto ci l’on ficcato !
L’altra mano se prende,
nella croce se stende,
e lo dolor s’accende,
che più è multiplicato.
Donna, li piè se prenno
e chiavèllanse al lenno,
onne iontura aprenno
tutto l’han desnodato.
Madonna
Ed io comencio el corrotto.
Figliolo, mio deporto,
figlio, chi me t’ha morto,
figlio mio delicato ?
Meglio averìen fatto
che ‘l cor m’avesser tratto,
che, nella croce tratto,
starce descilïato.
Cristo
Mamma, o’ sei venuta ?
mortal me dài feruta,
ché ‘l tuo pianger me stuta,
ché ‘l veggio sì afferrato.
Madonna
Figlio, che m’agio anvito,
figlio, patre e marito,
figlio, chi t’ha ferito ?
figlio, chi t’ha spogliato ?
Cristo
Mamma, perché te lagni ?
voglio che tu remagni,
che serve i miei compagni
ch’al mondo agio acquistato.
Madonna
Figlio, questo non dire,
voglio teco morire,
non me voglio partire,
fin che mò m’esce il fiato.
Ch’una agiam sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en affrantura
mate e figlio affogato.
Cristo
Mamma col core affetto,
entro a le man te metto
de Joanne, mio eletto;
sia il tuo figlio appellato.
Cristo
Joanne, esta mia mate
tollela en caritate
aggine pietate
ca lo core ha forato.
Madonna
Figlio, l’alma t’è uscita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossicato !
Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio
figlio a chi m’appiglio ?
figlio, pur m’hai lassato.
Figlio bianco e biondo,
figlio, volto iocondo,
figlio, perché t’ha el mondo,
figlio, così sprezato ?
Figlio, dolce e piacente,
figlio de la dolente,
figlio, hatte la gente
malamente treattato !
O Joanne, figlio novello,
morto è lo tuo fratello,
sentito aggio ‘l coltello
che fo profetizzato.
Che morto ha figlio e mate
de dura morte afferrate,
trovarse abracciate
mate e figlio a un cruciato.
Jacopone da Todi
La lauda mette in evidenza gli ultimi, drammatici momenti della vita di Cristo e si caratterizza per il fatto che l’attenzione, anziché sulla sofferenza di Gesù, è focalizzata su quella della Madonna. Attingendo ai Vangeli, ad alcuni testi latini che avevano già messo in primo piano la sofferenza della Vergine1, a rappresentazioni sacre diffuse nel XII secolo in Italia settentrionale2 e centrale3, Jacopone mette in scena una sorta di Passione della Vergine. L’impostazione teatrale di questo testo — con tutta evidenza differente da quelli fin qui antologizzati — si inserisce nella tradizione della lauda perugina, che si orientava, piuttosto che verso l’ascetismo o il misticismo, nella direzione di una divulgazione del Vangelo e di una umanizzazione dei temi religiosi. La lauda perugina era affidata alla recitazione di alcuni solisti e di un coro, e costituisce un passo importante verso quello spettacolo che nel Quattrocento avrebbe preso il nome di “sacra rappresentazione”. Le caratteristiche tematiche della lauda perugina contribuiscono a spiegare uno dei dati più significativi di questa lauda: il fatto cioè che la passione della Vergine risulti, in gran parte, una passione profondamente umana; che Maria appaia, più che come «donna de Paradiso», anzitutto come una madre disperata; che si mostri spesso ignara delle implicazioni teologiche della sofferenza del figlio4.
L’incomunicabilità tra Maria ed i vari interlocutori (vv. 4-83).
Le prime venti strofe che seguono alla ripresa (e cioè i vv. 4-83) hanno funzione prettamente diegetica. La narrazione è affidata in gran parte al Nunzio, che esorta Maria a correre ai piedi della croce e interviene successivamente (vv. 64-75) a descrivere i particolari della crocifissione in maniera fortemente realistica.
A fronte di questo racconto stanno le invocazioni della Madonna, che — inutilmente — cerca di chiamare in causa vari interlocutori. Dapprima viene invocato l’aiuto della Maddalena (vv. 16-19), che però tace; all’invocazione rivolta a Pilato (vv. 24-27) risponde implicitamente, in modo ostile, la folla, il cui Crucifige sancisce la scelta in favore di Barabba. Nessun effetto ottiene neanche l’invocazione al Popolo (vv. 32-35). Allora Maria invoca ripetutamente il figlio, con significativi riferimenti alla fisicità del legame (v. 47, vv. 60-63). Infine, in mancanza di una risposta, Maria chiama come sua interlocutrice la croce, ribadendo la propria umanissima ma inascoltata protesta sull’innocenza di Gesù (v. 55). Si è detto prima che la Passione di Cristo diviene qui Passione della Vergine; ma si potrebbe osservare che, prima ancora che alla Passione, il personaggio di Maria rimanda al dogma della Incarnazione: la Madonna è madre e in nome di questo legame invoca su di sé tutte le sofferenze del figlio (significativo in tal senso il lamento dei vv. 76-83).
La crocifissione viene descritta in tre strofe (vv. 64-75), collocate esattamente al centro del componimento: la lauda potrebbe pertanto essere suddivisa in un primo blocco di quindici strofe (che contengono il dialogo, o meglio il mancato dialogo tra Maria e gli altri personaggi) e in altre quindici strofe che contengono il lamento funebre (che comincia con i già citati vv. 76-83 e riprende da v. 112 alla fine) inframmezzato dall’unico vero dialogo del componimento: quello tra la madre e il figlio.5
Il dialogo tra la Madre ed il Figlio (vv. 84-111).
A tale dialogo sono dedicate sette strofe. Si tratta, anche stavolta, di un dialogo segnato da una forte incomunicabilità. La voce di Cristo che scende dall’alto della croce appartiene a una dimensione soprannaturale, molto diversa da quella di Maria. Dapprima egli rimprovera affettuosamente la madre per essersi recata in quel luogo; poi le ricorda il suo dovere di rimanere a fianco degli apostoli; infine, di fronte al disperato «voglio teco morire» del v. 97, la affida all’apostolo Giovanni. Non è certo casuale che Cristo pronunci esattamente tre battute, come non era casuale il fatto che il racconto della crocifissione fosse anch’esso contenuto in tre strofe (vv. 64-75): si tratta di riferimenti impliciti alla Trinità e quindi alla natura divina di Gesù. Maria invece rimane umanissima perfino quando chiama in causa il mistero della Trinità: la triplice invocazione del v. 89 («figlio, pat’e mmarito»), trasferisce infatti lo Spirito Santo in una dimensione quotidiana e familiare (tanto che il verso può tranquillamente interpretarsi come l’affermazione che, per una madre, il proprio figlio è tutto).
Il piano soprannaturale su cui si muove Cristo e quello umano di Maria si intersecano tuttavia nell’uso di una parola, il vocativo «mamma», ripetuto per tre volte da Cristo; una parola che rimanda etimologicamente, come si è notato nel commento, a quella stessa fisicità dell’allattamento già richiamata da Maria al v. 47.