Tutti i venerdì durante la quaresima faccio la Via Crucis in una struttura che ospita persone malate di Aids. Questo venerdì era particolare perché quella mattina una donna della casa ci aveva lasciati. Essendo nuova nella casa, meno di due mesi, non lo conoscevo molto bene. Ma per tutti gli altri l’impatto è stato forte e notavo una drammaticità vera nel loro modo di partecipare alla preghiera. Alcuni degli ospiti che normalmente non avrebbero partecipato perché si sentono troppo compromessi dalla malattia hanno deciso di camminare e pregare con noi, ma hanno dovuto essere aiutati e sostenuti. Era uno spettacolo vedere i malati aiutarsi faticosamente a vicenda, sostenendosi sotto braccio a turno.
Mi è venuto in mente, mentre pregavo con loro, quello che effettivamente manca alla nostra vita quando teniamo a distanza la consapevolezza della nostra precarietà, il senso della nostra morte. Quando la coscienza dell’immanenza della nostra morte non viene accolta, ammessa o riconosciuta, siamo derubati del dramma e della gioia della vita. Possibile? Sì: le due cose vanno insieme. Per percepire la grandiosità fantastica di una promessa di vita più piena, dobbiamo vivere nel dramma della consapevolezza della nostra morte immanente.
Conclusa la Via Crucis, mentre me ne andavo, mi ha telefonato una mamma chiedendomi di pregare per sua figlia. Una ragazza molto sensibile fin da bambina alla vita altrui, al dramma dell’esistenza e perciò del male e della morte. Soffre molto e allo stesso tempo vede che tante sue compagne non soffrono come lei. Allora comincia a domandarsi come sarà la sua vita se ora deve soffrire così, e perché a lei tocca tutto questo e agli altri no.
Ho detto alla madre di dire a sua figlia di rallegrarsi, perché è stata scelta da Dio per vivere più degli altri. Ciò che dobbiamo cercare nella nostra esistenza non è come soffrire di meno, ma come vivere di più. La sensibilità di quella ragazza la mette in contatto diretto con tante storie, tanti drammi, tanti cuori che agli altri sono preclusi, perché rimangono in superficie. Lei no. Perciò non può non porsi certe domande, non cercare risposte, speranza. Sempre. È privilegiata perché a lei non sfuggirà mai la gioia di una promessa di vita.
La gioia è la risposta del cuore umano davanti alla promessa credibile di una vita più piena. E’ un’esperienza rara. La promessa c’è ma ci sfugge, non la notiamo. Perché? Perché per noi la vita è una cosa scontata, e la consapevolezza della nostra morte immanente è bandita e confinata a regioni deserte della nostra coscienza. Latente resta l’irrequietezza, e non capiamo perché in tante occasioni in cui dovremo provare gioia ciò non accade. A volte vediamo il volto di un bambino mentre gioca o quando riceve un bel regalo e ci domandiamo come sia possibile essere così contenti. Perciò rimpiazziamo la gioia con divertimenti, distrazioni, impegni, cause e attività. E tutto questo può darci tanto, ma non la gioia — non la promessa di più vita.
Quanto sono privilegiati i malati con cui ho pregato la Via Crucis venerdì mattina. Quanto sono io privilegiato di stare con loro, vedere la loro paura, provare anch’io angoscia per la mortalità crudele portata dal peccato, accompagnarli nella ricerca della speranza e gioire davanti a una stupenda promessa di vita qual è il Figlio di Dio che si carica della croce in nostro favore.
Preghiamo la Madonna di non fuggire, ma di spalancare la nostra coscienza al senso della morte immanente, nostra e dei nostri cari, e così di poter vivere facendo memoria della promessa portata da suo Figlio, nato, morto e risorto per noi.