Il tuono del silenzio

Interrogato sull’argomento, qualsiasi mistico, qualsiasi contemplativo darà della vita spirituale non un’immagine di confusa unità indistinta, ma ordinerà vari gradi attorno a un centro (nel profondo della natura umana) o a una cima (nell’aria alta della trascendenza divina). Così i mistici hanno disegnato per la cristianità le figure della Scala, del Castello, del Monte…

Padre Fornara, che conosce questa lezione, illustra in questo romanzo breve un remoto paese di montagna che ha la medesima funzione e la medesima struttura delle topografie mistiche di santa Teresa o di san Giovanni. Questo piccolo spazio abitato (curiosa e credibile polis cattolica persa nella provincia italiana), Borgopietra, è tutto il mondo del romanzo. È un mondo piccolo, ma non si avverte né claustrofobia, né il peso di certi spazi chiusi, solo a volte un poco di soffocamento, ma poca cosa; in un certo senso, è il prezzo da pagare per restare al di fuori del malessere delle metropoli secolarizzate. Basta alzare gli occhi e dalle strette strade di pietra si passa all’orizzonte vasto delle montagne o alla linea del campanile contro il cielo azzurro, e si respira.

Il romanzo svolge la risposta a un interrogativo, subito introdotto dal vecchio parroco, il nume tutelare dello spirito autentico di Borgopietra: si tratta decidere «qual è la nostra residenza reale»  [p. 18] in un mondo che sembra invitare a vivere di surrogati e di case sintetiche, presto costruite e presto distrutte, temporanee, inconsistenti… La trama racconta, per frammentazione in mille scene di paese, i due giorni che precedono la festa patronale. In ventisei brevissimi capitoli entra e esce una folla di personaggi in tensione tra loro; e le tensioni si moltiplicano, si radicalizzano, fino ad un crescendo di rumore che sembra l’avvisaglia di una crisi che viene a spazzare via tutto. L’ossimoro del titolo rimanda a questa serie di relazioni doppie (madre / figlia, prete vecchio / prete giovane, adolescente bello / adolescente brutto, credente / ateo, uomo / donna, giovane / adulto, eccetera) presenti nel racconto, dove un personaggio tuona, urla, strepita mentre la sua controparte, tacendo e trincerandosi in mille modi diversi nel proprio ostinato silenzio, rifiuta di consentire al dialogo; sempre che possa chiamare silenzio anche ciò che tecnicamente non lo è, come la menzogna la distrazione l’egoismo il rancore la paura, in generale ogni modo d’essere che fa cadere nel vuoto la parola dell’altro o la propria. Così si esprime l’Autore alla pagina 87, parlando di «un silenzio pieno di rancore… certamente il più diffuso» tra le persone di questo borgo simbolico del mondo intero, dove le relazioni vanno macerandosi in una montante incomprensione. Esemplarmente, nella passeggiata del curato con il maresciallo dei carabinieri, non credente, quando questo «aveva finalmente ritrovato la loquacità», quello «chiudeva le porte dell’ascolto» [p. 105].

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«Se parlano più voci contemporaneamente, le voci si confondono e si annullano … l’effetto che producono è silenzio» [p. 93]. È un’esperienza post-babelica, tipicamente moderna, con la confusione delle lingue, che è innanzitutto confusione del cuore e moltiplicazione geometrica dei punti di vista, il crollo della verità sotto le opinioni che s’ingarbugliano, spinte dal desiderio, dall’oscuro cuore umano che non sente, non sente; sempre sordo all’altro silenzio, il silenzio alto di Dio, quel suo modo di parlare tipico, «silenzio della luce» che «ha gran potere» [p. 93], dallo svolgimento notturno o umbratile (Giada di notte suona al suo curato per confessarsi, Bartolo che nel folto scuro del bosco scopre in sé «il volto più loquace del silenzio» [p. 95]).

Il paese stesso è agente di risoluzione del conflitto. Tramite i suoi spazi pubblici (la chiesa, la piazza) e i suoi ruoli pubblici (il prete, lo sbirro) indica insieme la futilità dello sradicamento e l’impossibilità di astenersi dai rapporti. La morte del vecchio parroco porta un silenzio nuovo nel paese (finalmente si ascolta), che garantisce uno spazio di risonanza alle parole importanti, quelle riassunte nel suo testamento, letto per tutti dal giovane curato nella messa delle esequie. Tutti sono così ricondotti –e sembra impossibile pensare a un’alternativa, visto il carattere stesso del paese– alla chiesa parrocchiale per ascoltare questo testo (splendidamente alto sopra l’economia narrativa del racconto) che innesca e sancisce la ritrovata comunione (e la riconciliazione, la conversione, in qualche caso perfino la santità) degli abitanti di Borgopietra, innanzitutto con Dio e, di conseguenza, con i fratelli. Si scopre che ogni relazione a due è mediata, tra l’io e il tu è realmente presente Cristo, del quale i battezzati sono corpo e per i quali egli è norma e misura, Verbo di verità che apre spazi di libertà infinita dove nessuna voce risuona obbligante, non quella del nostro egoismo e — questo il miracolo dei miracoli — neppure la Sua, tanto Egli è deciso a mantenerci figli, non servi, non obbligati al bene da una volontà onnipotente e dominante, ma determinati dal suo amore a cui sempre libera è la risposta.


F. Michele Ciapetti ocd

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