Monsignor Romero aveva una grande devozione per la Vergine del Carmelo e ha portato fino alla morte il santo Scapolare. E non è privo di significato il fatto che, quando venne colpito da un franco tiratore mentre celebrava la Messa nella cappella del cosiddetto “ospedalino”, Romero cadde morto quasi ai piedi dell’immagine della Vergine del Carmine. L’Arcivescovo di San Salvador aveva abitato in grande semplicità in quell’ospedale, in cui facevano servizio le Carmelitane Missionarie di Santa Teresa (una congregazione per la quale nutro un affetto tutto particolare per diverse ragioni, che ora non è il caso di dire); fu qui che Romero portò a compimento il suo pellegrinaggio terreno.
Forse la miglior testimonianza della devozione mariana di Monsignor Romero ci è data dalle sue omelie e, fra esse, sicuramente ce ne sono tre che, in misura più o meno grande, fanno riferimento alla Vergine del Carmelo e allo Scapolare. È risaputo che nel suo intento di raggiungere il maggior numero di persone possibile (e specialmente la gente più semplice), l’Arcivescovo faceva trasmettere le sue omelie sulla Radio diocesana YSAX. Le tre omelie a cui mi riferisco risalgono alla festa del Carmine o alla sua vigilia degli anni 1977, 1978 e 1979.
Nella prima di esse (un vero gioiello), l’Arcivescovo sottolinea come la chiesa salvadoregna stesse vivendo un momento drammatico di persecuzione e repressione e – come fece Simone Stock nel XIII secolo – anch’egli si rivolge a Maria sotto il titolo tanto popolare di Vergine del Carmine. Romero non nasconde la sua tenera devozione per Maria: “In questa ora, nella quale la Chiesa salvadoregna si rinnova e proprio grazie alla persecuzione, quanto è dolce incontrare gli sguardi della Vergine, sguardi che esprimono approvazione, sguardi che consolano, sguardi che vengono dal cuore”.
In seguito Romero insiste sul fatto che la promessa della Vergine a San Simone è ancora valida, sebbene abbia bisogno di essere reinterpretata in due sensi diversi. Prima di tutto, la promessa che la Vergine offre non si riferisce solo alla salvezza dopo la morte, ma riguarda anche il presente, la storia, le realtà terrene: “Il santo Scapolare è un messaggio per la vita eterna, che ci apre lo sguardo alla escatologia, verso ciò che ci aspetta al di là; ma è anche un messaggio che riguarda la vita di quaggiù”. È ovvio, e Romero lo sottolinea in più occasioni, che questa salvezza terrena di cui parliamo, non potrà mai essere piena, completa. La Chiesa desidera migliorare il mondo presente, ma è ben cosciente che non si potrà mai arrivare alla perfezione su questa terra, perché tale perfezione trascende le realtà umane. Ma è ugualmente vero che nemmeno una salvezza individualista, del “salvare la mia anima”, una salvezza spiritualista e chiusa solo nell’al di là, corrisponde alla verità del messaggio cristiano. Già qui bisogna iniziare a lavorare per la salvezza: ed è quanto anticamente si intendeva dicendo che bisogna portare lo Scapolare con tutte le conseguenze che questa scelta suppone (una vita virtuosa, accompagnata da una vera pietà sacramentale e dalla fedeltà ai propri doveri temporali, ecc.). In secondo luogo la salvezza che si intende oggi (e Romero appartiene già all’epoca del dopo Concilio) è una salvezza integrale, che riguarda tutta la persona (anima, corpo, cuore, intelligenza, volontà…). Inoltre Romero sottolinea che anche l’aspetto della dimensione sociale della salvezza è incluso.
E concludeva questa omelia chiedendo che tutti i “carmelitani”, e cioè tutti coloro che portano o ricevono lo Scapolare, siano fedeli discepoli del Vangelo e che la Vergine del Carmelo trasformi i cuori di quanti ostacolano la costruzione di una società più giusta e fraterna. Romero, però, non considera queste persone come nemici; anzi, li invita a unirsi a tutti gli altri per lavorare insieme e insieme migliorare la società.
Nell’omelia del 1978 Monsignor Romero fa un’analisi molto critica della situazione che il paese stava attraversando e denuncia senza mezzi termini la repressione in atto in alcune zone (i famosi “cateos” o mandati di perquisizione illegali nelle case). Davanti a un tale panorama, il pastore deve annunciare la Parola di Dio senza ambiguità e compromessi. In apertura e al termine della sua omelia, Romero fa riferimento alla Vergine del Carmelo, della quale si stava celebrando la festa. Si tratta di due riferimenti molto belli nei quali egli parla di Maria che “sotto il titolo del Carmelo è la grande missionaria del popolo” e ricorda “l’affetto della gente comune, dei religiosi e dei sacerdoti verso Nostra Signora del Carmine”. Poi, quasi fosse il sospiro di un cuore preoccupato, esclama: “Come non pensare a Lei, quando l’intero nostro popolo la guarda con speranza…?”.
Un anno più tardi, nel 1979, nella sua omelia radio trasmessa, l’Arcivescovo di San Salvador tratta del tema del profetismo, approfittando, però, di diversi punti, per ricordare la festa del Carmine. Usando parole molto dirette, mette in guardia contro una devozione mariana vuota, che consista solamente nell’abitudine di portare al collo lo Scapolare. Ringrazia i diversi gruppi e congregazioni carmelitane dell’Arcidiocesi per il loro lavoro di apostolato e auspica che questa devozione sia strumento di liberazione e seme di evangelizzazione, poiché Maria stessa è apostola e sempre annuncia la buona notizia del Vangelo.
In definitiva le tre omelie, delle quali abbiamo sottolineato solo l’aspetto carmelitano, sono una testimonianza dell’atteggiamento profetico e pastorale di Monsignor Romero. Molti sono i temi che si potrebbero approfondire in modo più dettagliato, inclusa un’analisi teologica molto profonda, ma in questa sede preferisco limitarmi solamente a un aspetto che mi ha sempre molto colpito e che spero, un giorno, di poter ulteriormente approfondire: si tratta dell’atteggiamento che Romero aveva nei confronti della religiosità e pietà popolare. Senza soffermarci sulle possibili connessioni col documento di Aparecida e con il magistero di Papa Francesco, possiamo affermare che Romero mostri un atteggiamento molto bello dal punto di vista pastorale. Da una parte egli critica senza mezzi termini una pietà popolare fondata sugli aspetti sensibili, passeggeri, esteriori e folcloristici, secondo la dottrina già espressa dal Concilio Vaticano II: “La vera devozione non consiste né in un sentimentalismo sterile e passeggero, né in una certa qual vana credulità” (LG 67). Se, poi, uniamo a ciò anche altre problematiche, come quelle del sincretismo religioso, della superstizione, delle deviazioni dottrinali e morali, giungiamo facilmente alla conclusione che diventa necessario purificare, o ancor meglio, evangelizzare, la religiosità popolare. Allo stesso tempo, però, Romero riconosce con gioia che anche la pietà popolare ci evangelizza e che proprio attraverso di essa il popolo, la gente umile, rende manifeste in modo semplice (come, per es., attraverso lo Scapolare) le grandi verità e la speranza nascoste nella nostra fede. Ciò che è ancora più importante è che Romero, come buon pastore, si rende conto che questa pietà popolare non deve essere disprezzata o ignorata, ma piuttosto deve essere bene utilizzata come piattaforma privilegiata di evangelizzazione e come luogo di umanizzazione.
Per questo, nel luglio 1977, il nostro Monsignore affermava: “Non esiste una predicatrice più affascinante della Vergine del Carmelo in mezzo al nostro popolo”. E l’anno dopo dice così: “Oggi, 16 luglio, il nostro popolo sente che, sotto questo titolo del Carmelo, Maria è la grande missionaria della gente semplice…!”. Speriamo davvero che noi Carmelitani sappiamo imitare questo stile pastorale, popolare, semplice e profetico!
In varie occasioni ho visitato El Salvador e alcuni fa ho avito la fortuna di celebrare l’Eucaristia davanti alla tomba di Monsignor Romero. Era il 2 novembre e non potei fare a meno di ricordare l’immagine tanto popolare della Vergine del Carmelo che, con lo Scapolare tra le mani, libera le anime del Purgatorio. Mi ricordai dell’omelia di Romero, piena di sapienza. Possa egli, dal cielo, aiutare tutti noi, che ci onoriamo del nome di carmelitani, a continuare il nostro apostolato di liberazione nei confronti dei nostri fratelli che hanno bisogno di uscire da tanti purgatori, aiutandoli a indirizzare la loro vita verso quella salvezza piena di cui parlava Romero.
P. Fernando Millán Romeral, O.Carm.