Mario Borzaga nasce a Trento il 27 agosto 1932. A 11 anni entra nel Seminario minore, a 20 anni è nella congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, a 25 è ordinato sacerdote. Il 2 luglio 1957 viene inviato nella missione degli Oblati in Laos con il primo gruppo di missionari italiani. Giunti a Paksane, piccola città in riva al fiume Mekong, non lontana dalla capitale Vientiane, Borzaga trascorre il primo anno dedicandosi allo studio del laotiano, per entrare il più presto possibile in contatto con la gente. Nel suo Diario di un uomo felice e nell’abbondante corrispondenza inviata dal Laos, descrive il cammino della sua anima e la vita della difficile missione, resa ancor più ardua dalla guerriglia comunista che percorre la nazione. Verso la fine del ‘58 raggiunge la comunità cristiana del piccolo villaggio di etnia hmong di Kiucatiàm. Visita le famiglie, accoglie e cura gli ammalati, che si affollano quotidianamente alla sua porta. Il 24 aprile 1960, dopo la Messa, alcuni hmong gli si fanno incontro rinnovandogli la richiesta di recarsi al loro villaggio di Pha Xoua, a tre giorni di marcia, sulle impervie piste montagnose della foresta tropicale: un giro missionario di un paio di settimane, da affrontare prima dell’inizio della stagione delle piogge. Lunedì, 25 aprile, Padre Mario s’incammina accompagnato dal giovane catechista Paul Thoj Xyooj. Da quel viaggio non faranno più ritorno. Le ricerche intraprese in seguito alla scomparsa non daranno alcuna risposta. Le testimonianze raccolte fin dall’inizio, con quelle pervenute soprattutto in questi ultimi mesi, confermano ciò che si è sempre saputo: l’uccisione dei due per mano dei guerriglieri comunisti “Pathet Lao”.
«Ciascuno di noi ha la sua strada, si dice, ed è vero. Ciascuno percorre una sua strada, che ha avuto un inizio, ha delle tappe significative, dei tratti pianeggianti, salite e discese, dei punti panoramici e pieni di luce e altri così bui da vedere a mala pena dove mettere il passo successivo. Nella strada di ciascuno ci sono poi i compagni di viaggio. Alcuni li cerchiamo, altri ce li troviamo. Alcuni ci spronano e ci aiutano, altri ci ostacolano e ci rallentano. La maggior parte di questi compagni di viaggio sono persone in carne ed ossa, dai nostri genitori e fratelli in poi. Ma ci sono anche altri compagni, che sono vissuti magari in un posto lontanissimo da noi o in un tempo che non è il nostro, eppure li sentiamo vicini, ci camminano accanto, spesso ci precedono. Compagni che magari, esteriormente, incontriamo solo in un volto fotografato o in una pagina di un libro. Ma interiormente diventano veri e propri amici, che continuano a starci accanto, a fare passi con noi, a guidarci nei momenti più difficili. Per questo noi siamo “amici di padre Mario”, perché anche se forse non lo abbiamo conosciuto di persona, lo conosciamo attraverso Lucia, attraverso i suoi diari, attraverso chi l’ha conosciuto, attraverso chi ce lo trasmette e continuiamo a sentirlo “amico” nostro, compagno di viaggio su quella strada che è solo nostra ma che non possiamo fare da soli.
Questa è la sensazione che emerge da chi legge questo libro e vi ritrova due “amici”, santa Teresina e padre Mario, due figure che già conosciamo, almeno un po’, ma che l’autrice, suor Maria Cristiana del Crocifisso, Carmelitana nel monastero Mater Carmeli di Biella, ci fa reincontrare assieme, perché credo che per prima li viva e li senta lei come suoi compagni di viaggio. È come se ciascuno di noi stesse camminando per la sua strada e se li trovasse, una da una parte e uno dall’altra, a prender parte ad un discorso comune che mentre coinvolge la loro vita dice qualcosa di importante anche alla propria, a quella di ciascuno di noi. Suor Maria Cristiana sceglie questo metodo, quello di accostare la vita e l’esperienza dei nostri due giovani amici eppure, nello stesso tempo, di farla entrare nel pensiero, nell’esperienza, nella vita di ciascuno, perché i suoi commenti e considerazioni universalizzano e rendono contemporanee affermazioni, preghiere, vittorie e sconfitte che appartengono alla vita di altri. Tutto questo a testimoniarci che la santità è un cammino, e che su questo cammino in fondo non conta l’età (avevano 24 e 28 anni, i nostri due quando hanno concluso la parte terrena della vita, dei “ragazzi”, diremmo adesso), non conta il luogo (una entrata a 15 anni nel Carmelo, in Francia, l’altro trentino e missionario in Laos, che sappiamo dov’è solo prendendo una carta geografica…), non conta il tempo, neppure le esperienze… conta con Chi si decide di fare questa strada e come si decide di percorrerla. La risposta a queste domande ha il profumo della santità, e questo vale per tutti. Dice suor Maria Cristiana nell’introduzione (p.13): … non sono eroi diventati tali a forza di braccia, ma un ragazzo e una ragazza che con i loro limiti e le loro debolezze si sono aperti, hanno spalancato le porte al dono di Dio nella semplicità e vi hanno risposto. … non abbiamo dunque bisogno di essere superuomini o superdonne per desiderare e cercare, pur consapevoli della nostra fragilità, quel di più che Teresa e Mario ci testimoniano sia possibile per tutti raggiungere.
I compagni di viaggio non servono dunque a sostituirsi a noi, ma a incoraggiarci, a farci vedere che quello che è stato possibile per loro lo può essere anche per noi, che è bello lodare le grandi cose che Dio fa nella vita degli altri e sostenerci e aiutarci nelle fragilità e nelle debolezze che sono proprie di ciascuno. Anzi, come recita il titolo, è un “vantaggio” essere piccoli, perché permette a Colui che è Grande di avere più spazio in noi, di sostenerci con più forza, di guidarci con meno resistenze, di portarci più in alto, perché siamo più leggeri, più disponibili, più pronti alla sua voce. O, detto con le parole di questo libro (p. 48): essere piccoli dunque è un vantaggio: possiamo riposare tra le braccia di Dio, sperare nella sua misericordia e possiamo aspirare alla santità.
Allora seguiamo il percorso che suor Maria Cristiana ci fa fare in compagnia di Teresa e di Mario, perché anche questa è “strada” fatta assieme, assieme con loro e assieme tra di noi. Tre sono i passi principali, scanditi secondo il titolo del secondo capitolo: fede, fiducia, abbandono. Si parte dalla fede, che Teresa e Mario hanno ricevuto in dono fin da piccoli, dalle loro famiglie. Il primo capitolo ripercorre dunque la biografia dei due, mettendola in parallelo, e mostrando come la fede imparata in famiglia e vissuta nelle circostanze della vita, soprattutto quelle più tristi e difficili, possa essere considerata il punto fermo, la stella di riferimento delle scelte dei due giovani. Ma la fede non è ancora rapporto con Dio, può essere anche qualcosa di proprio, una parte della propria vita, del modo di vivere le giornate e di vedere il mondo e i suoi significati. Quando diventa vero rapporto con Dio essa richiede di assumere il volto della fiducia, di chi si fida di un amore anche quando forse non comprende il modo con cui si esprime e la strada che traccia. «Non ho paura quando c’è il Signore con me, anche se per natura mi sento debolissimo e paurosissimo», dice padre Mario. E mi piace rileggere l’esperienza che Mario ci racconta: mi piace girare per la casa, per i corridoi e per le scale a luci completamente spente. A un certo punto mi accorgo che, invece di tener gli occhi spalancati come un gatto, li posso anche chiudere perché è lo stesso. Allora li chiudo e sento che camminare così, nel buio a occhi chiusi, potrebbe essere un simbolo della mia vita spirituale, immersa totalmente nella Fede e nell’Amore.
Non si tratta dunque di brancolare nel buio e di scegliere a casaccio, ma di avere una luce nuova, diversa, la luce della fede e dell’amore, cioè della fiducia in Colui che è amore, che guida la nostra storia. Non si tratta di una rinuncia a pensare e a programmare, ma anzi lo sprone verso un impegno maggiore: impegno per rimanere “piccoli”, che per Teresa diventerà l’ideale dell’intera vita e che significa non rinunciare a fare, ma fare senza avere fiducia nelle opere che si compiono, fiducia che va invece riposta in Dio che le compie con noi e attraverso di noi. Impegno a vedere e pensare con un intelletto che padre Mario chiama “soprannaturale”, cioè, spiega l’autrice (p.56), andare oltre, per riconoscere e accogliere la presenza e l’azione di Dio in ogni cosa. Può fare davvero una grande differenza guardare la storia, le situazioni della vita non chiuse o appiattite in un’unica dimensione, ma aperte e guidate dalla Provvidenza del Signore. Avere fiducia in Gesù, ci dice padre Mario, significa vederlo e amarlo in tutto quello che mi circonda: dovunque, nelle cose belle e brutte, inutili e noiose, piccole e grandi, piacevoli e penose, noiose e strazianti, poiché di queste è fatta la mia vita e io devo amare Gesù con la mia vita. È lui, Gesù, in tutto, e non è tenuto a dirmelo, ma io sono tenuto a cercarlo, a crederlo presente, anche se sul momento non lo trovo. È questa “fiducia concreta all’iniziativa di Dio nella nostra storia”, come la chiama suor Maria Cristiana, ad accomunare Teresa e Mario e a diventare luce anche per noi. Perché se la fiducia è una relazione, un dialogo con Dio, presuppone anche una nostra risposta, risposta che non ha nulla di passivo, e che può arrivare fino alla fine nella disponibilità a dare la vita. Qui si inserisce il desiderio di martirio che padre Mario più volte espone, perché, dice lui, i martiri sono quelli che quando hanno udito il richiamo di Gesù, l’urlo disperato dei fratelli, sono accorsi sulla prima linea e sono morti con un immenso amore nel cuore. Non si tratta dunque di cercare il martirio, di desiderare il sangue, ma di avere l’orecchio attento ad ascoltare l’urlo dei fratelli, che è il richiamo di Gesù, e di correre con l’amore nel cuore. Ciò che accadrà dopo sarà sempre nelle mani di Dio, sarà comunque suo dono. «I santi – ci ricorda suor Maria Cristiana – sono coloro che consapevolmente hanno cooperato alla volontà del Padre, scegliendo di abbandonarsi ad essa liberamente» (p. 64).
Ed eccoci dunque arrivati al terzo passo, dopo fede e fiducia i nostri amici ci insegnano il passo più difficile, quello dell’abbandono, e a questo sono dedicati il terzo e il quarto capitolo. È questo il passo che l’uomo e la donna di fede, entrati in un rapporto di fiducia collaborativa con il Signore, imparano a fare nella sofferenza, nella malattia, nell’impotenza, nella solitudine, nel percepire il sentimento di essere stati abbandonati persino dal Signore. È una scelta di libertà all’interno di situazioni che sembrano limitarci da ogni parte, anche sul versante della fede. Per Teresa la malattia e quella notte che la mette in comunione con i senza fede, alla “tavola dei peccatori”, dove si prova il rifiuto di credere e le sue conseguenze. Per padre Mario è la solitudine del Laos, le difficoltà della lingua, della cultura, del clima, dell’incomprensione con i confratelli in missione, del sentimento di inutilità, della tentazione di aver sbagliato strada e di non farcela ad andare avanti. Il desiderio di Mario, di amare Gesù abbandonato, diventa realtà, diventa un “essere”, almeno in parte, come Gesù abbandonato. Lo sostiene la preghiera, che mai mancherà nella sua vita, a riprova che quella fiducia promessa continua ad essere cercata e coltivata. Ma ciò non toglie la sofferenza, che diventa proprio il mezzo con cui sentirsi unito a Gesù e ad ogni uomo sofferente, il mezzo con cui mantenere le promesse fatte. Dice padre Mario: è passato il tempo felice della speranza di essere santi: è venuto il tempo per esserlo; è passato il tempo soave delle belle promesse: è venuto il tempo atroce di mantenerle. “Tutto è perduto”, arriverà a dire padre Mario, ma in questo grido di disperazione e solitudine non si può non intravedere la rinascita, perché “chi perde la propria vita la salverà” e “se il chicco di frumento muore porta frutto”. Dietro a ogni perdita per il Signore e per amore sta l’immenso frutto che ne deriva, dove e quando non spetta a noi saperlo.
Per questo il testo di suor Maria Cristiana si conclude con l’“a meno che” di padre Mario: quando morirò avrò sul viso una sconsolata smorfia di insoddisfazione triste, per non aver amato abbastanza il Signore. A meno che non abbia la grazia di morire martire: allora mi prenderò il gusto di fare gli sberleffi, appena incontrato in cielo e fatti i primi convenevoli con Gesù, Maria, i Santi, Dio, a quel brutto ceffo pallido e nasone che in vita presumeva di appartenermi. L’abbandono di sé è diventato pieno nel martirio, nella morte ignota a tutti, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio del 1960, in quell’avverarsi delle parole che un giorno padre Mario aveva scritto: “… soffocato nel pianto e nel sangue per amore di Cristo”. Il libro di suor Maria Cristiana ci fa fare un pezzo di strada con due giovani che hanno vissuto così la loro breve vita: nella fiducia e nell’abbandono per amore di Cristo. Ci possono dunque essere compagni nei momenti in cui la nostra fede diventa ottimistica fiducia, quando diventa concreto impegno entusiasta e quando si fa sera, si fa notte, e la solitudine e il sentimento di essere abbandonati, dagli uomini e anche da Dio, può entrare dentro di noi. Soprattutto in questi momenti ci serve un compagno di viaggio, lo troviamo nelle persone che condividono con noi la vita e le esperienze, e ringraziamo il Signore per questo. Lo possiamo trovare anche in chi queste notti le ha già attraversate, conservando attraverso l’abbandono l’amore. Perché questo è il grande rischio: che la notte spenga l’amore. Questo è ciò che i nostri giovani amici vogliono insegnarci: anche nella notte si può conservare l’amore e sarà l’amore a guidare i passi, anche i più difficili, nella pace. Ma prima di tutto è Cristo che ha amato noi; l’amore di Cristo è la garanzia: all’assalto della tentazione, ci ricorda l’autrice riportando un passaggio di padre Mario, si risponde con la parola della croce, che è la “verità dell’amore”, l’amore che conferma la sua verità.
Ringraziamo Teresa e Mario per avercelo testimoniato con la verità della loro vita, perché le parole fuggono, la vita è vera. Ringraziamo anche suor Maria Cristiana che dal Carmelo testimonia che Dio è l’unico necessario, che “solo Dio basta”, come dice la sua fondatrice santa Teresa, e che ci ha permesso di ripercorrere attraverso il suo studio, la sua ricerca e la sua preghiera, quel tratto di strada che Teresa e Mario hanno percorso e che possono ancora fare con noi. Questa strada ha una meta, che è per tutti giungere all’incontro con il Padre misericordioso e che Teresa e Mario ci hanno indicato nella loro breve ma intensa vita».
Presentazione di suor Chiara Curzel al libro di Maria Cristiana del Crocifisso Il vantaggio di essere piccoli, l’abbandono in Teresa di Lisieux e Mario Borzaga, Ancora, Milano 2016, Assemblea degli “Amici di padre Mario”, Trento, 13 maggio 2016.
Su Padre Mario Borzaga: “Padre Mario Borzaga, tesoro di santità”, rubrica Pietre Vive, 21 maggio 2016 qui (dal minuto 16.45).