Un’opera di grande valore artistico: il Crocifisso ligneo della Basilica Vaticana è stato presentato restaurato alla stampa, in Vaticano, e sarà restituito alla devozione dei fedeli il 6 novembre, in occasione del Giubileo dei carcerati. A realizzare la scultura, nel XIV secolo, un abile maestro che la tradizione vuole sia Pietro Cavallini. I lavori di restauro sono stati eseguiti in oltre un anno, con le più moderne tecnologie, e grazie al sostegno dell’Ordine dei Cavalieri di Colombo, per il Giubileo della Misericordia.
Le pupille attonite ormai fisse sull’Eterno e la bocca semiaperta con le labbra tese: la figura di Gesù crocifisso è riprodotta dall’artista nell’attimo della morte, mentre sta per esalare l’ultimo respiro. Intagliato su un tronco di noce e dipinto, è alto 2 metri e 15 e pesa 72 chili.
Profonda nei secoli la devozione verso questo Crocifisso, dal volto sofferente e meraviglioso al tempo stesso, come ci conferma il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana e presidente della Fabbrica di San Pietro:
R. – Io parlo per mia esperienza personale. Quando i nostri lavoratori pulivano l’occhio, a me è sembrato che il Crocifisso in qualche modo mi guardasse come per dire: “Cosa aspetti? Vedi l’amore? Ecco, rispondi…”. L’emozione che provò San Francesco nella chiesetta di San Damiano, quando si sentì dire: “Francesco, ripara la mia casa”, va tutta in rovina. E Tommaso da Celano dice che da quel momento provò compassione per il Crocifisso. È impressionante. Cominciò a capire che a quell’Amore non c’era adeguata risposta. L’ho sentito anche io guardando l’occhio del Crocifisso che mi guardava…
D. – Quel sentimento dell’Amore non amato …
R. – Dell’Amore non corrisposto, l’Amore non amato, come diceva San Francesco.
Questo Crocifisso è il più antico presente nella Basilica di San Pietro e ha vissuto vari spostamenti all’interno della stessa Basilica. Quando i lanzichenecchi la invasero, fu anche oltraggiato: vestito con i loro abiti, come se fosse un manichino. Colpisce la grande fedeltà dei particolari anatomici, come ci conferma mons. Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica di San Pietro:
R. – Guardando questo Crocifisso si notano con stupore tanti particolari del corpo, cose che non si trovano in altri crocefissi lignei: particolari precisi, anatomici, che indicano che lo scultore o la persona che era con lui erano espertissimi nell’anatomia, a partire dalle vene delle braccia, delle gambe, dai tendini tesi della gamba, soprattutto vicino alla caviglia, fino alle costole, alla ferita del costato che ha addirittura due aperture, una sulla carne viva e l’altra della pelle che si ritrae esternamente. Per non parlare poi del viso che ha una prospettiva bellissima. Oltre tutto, il viso è stata una delle parti più illese, perché quando è stato tolto tutta quella vernice di cui era ricoperto e si sono visti gli occhi aperti, mentre prima si pensava fossero chiusi, è stata un’emozione grandissima!
D. – Quasi una fotografia scattata a Gesù morente?
R. – È un Crocifisso che voleva suscitare la pietà del Cristo morente. Infatti il Cristo ha gli occhi e la bocca aperti e nell’ultimo istante del grido della morte e poi del “Tutto è compiuto. E chinato il capo, emise lo spirito”. Qui è reso in modo plastico. I fedeli si ispiravano molto a questo Crocifisso perché era molto ricercato – allora era detto miracoloso per la pietà e per l’umanità che ispirava.
Nel corso dei secoli, l’opera è stata spostata più volte all’interno della Basilica Vaticana. Dal 1632 fu esposta nella cappella del Crocifisso fino al 1749 quando fu spostata perché lì fu collocata la Pietà di Michelangelo. Quindi venne portata in un’altra cappella dove finì quasi dimenticata. Il 6 novembre il Crocifisso ligneo, in occasione del Giubileo dei carcerati, sarà esposto sul lato destro del Baldacchino del Bernini e il 18 novembre, in concomitanza con l’anniversario della Dedicazione della Basilica, durante la Messa, sarà collocato proprio nella Cappella del Santissimo Sacramento dove resterà.
Nei secoli il Crocifisso era stato ricoperto da 9 strati di vernice scura ed era difficile quindi cogliere lo splendore della sua policromia. Il restauro è riuscito a restituire il 90 per cento della struttura originale e la forza plastica del corpo. I due principali restauratori sono stati Giorgio Capriotti e Lorenza D’Alessandro. A lei abbiamo chiesto quale particolare l’abbia colpita maggiormente durante il restauro:
R. – Senz’altro il fatto di essere arrivati a recuperare la pellicola pittorica originale, perché di solito in interventi di questo tipo su opere così antiche, ci si ferma prima proprio perché non si ha la certezza di ritrovare ancora materia così antica. Parallelamente abbiamo potuto capire che sul capo, originariamente, c’era una corona di spine, proprio perché abbiamo trovato inserti, piccoli cavicchi lignei che la tenevano. È andata ovviamente dispersa ed era stata sostituita nell’800 da una corona di corde, che ora è stata rimossa e sostituita da una corona di spine. Ma anche in questo caso è stata scelta una spina particolare: la Spina Christi, un arbusto dell’area mediterranea.
D. – È stato sicuramente un viaggio a ritroso nel tempo: strato dopo strato dal Terzo Millennio siete riusciti a risalire al Cristo del 1300 a livello di colori e di struttura?
R. – Sì, esattamente questo. Non potevamo arrivare con il laser direttamente a contatto con la pellicola pittorica perché si sarebbe rovinata. Quindi l’unico modo per non perdere le informazioni preziosissime di tutte le manutenzioni era togliere pelle per pelle, anche perché bisognava fare delle puliture selettive: ogni ridipintura aveva bisogno di un determinato solvente o di una determinata attrezzatura, ma in questo modo le informazioni ci sono arrivate!
D. – E l’emozione è stata molto grande …
R. – E l’emozione è stata grandissima, proprio un vero viaggio a ritroso nella storia!
Radio Vaticana