Teresa Neumann

2 GIORNI SPECIALI PER 2 TERESA

Il 29 aprile 1923 ed il 17 maggio 1925

dal sito www.entraevedi.org

(a cura di p. Giacomo Gubert ocd)

 
29 APRILE 1923

Teresa Neumann rimase cieca quattro anni e guarì improvvisamente il 29 aprile 1923, giorno della beatificazione della venerabile Teresa Martin. Racconta il fratello Ferdinand Neumann: « Il 29 aprile era domenica. Teresa aveva avuto il giorno prima gravi disturbi di stomaco e nostro padre si era svegliato presto per andare a Neustadt da un terapeuta a prendere un certo tè di erbe che già altre volte le aveva fatto bene. Alle sei, quando andò a salutare Resl (il soprannome di Teresa, ndr), lei era ancora cieca e non lo vide. Poi mia sorella dormi ancora un poco: raccontò poi di aver avuto la sensazione che mentre dormiva succedesse qualcosa al suo guanciale, “come se graffiasse”. Si svegliò alle sei e mezzo e poté vedersi le mani, la camicia da notte, il letto. Alzò gli occhi verso la stanza, vedeva ogni cosa. Allora prese il bastone e lo batté sul pavimento, come usava fare per chiamare i familiari quando aveva bisogno: voleva chiamare la mamma. Arrivò invece nostra sorella Crescenzia, e Teresa in un primo momento non la riconobbe, perché in quattro anni era molto cresciuta. Teresa le disse di chiamare subito la mamma. Appena arrivò, Teresa le gridò che vedeva! La mamma in un primo momento non le credette, pensò che non si sentisse bene, ma Teresa insisteva. Allora la mamma prese dal davanzale della finestra un vaso di fiori bianchi e glielo mostrò, e Teresa fece un commento preciso; poi le mostrò dei fiori rossi, e Teresa descrisse anche quelli. La mamma allora ci chiamò tutti, e Teresa ci parlò e ci riconobbe, uno dopo l’altro. La vista le era ritornata! Piangemmo insieme di gioia!». Il giorno dopo il dottor Seidl visitò Teresa, ma non trovò alcuna spiegazione del fatto. « Teresa e tutti noi », racconta ancora Ferdinand Neumann, « attribuimmo il miracolo alla piccola Teresa di Gesù Bambino ». Teresa stessa, in una lettera che il 27 maggio 1923 scrisse alla sua amica signorina Simson, che era stata maestra a Konnersreuth, descrisse la propria guarigione dalla cecità. “Cara signorina Simson, Salve! Così vorrei gridarle con immensa gioia! Pensi un po’: con l’intercessione della beata Teresa, il Signore mi ha ridonato la vista. Che felicità!… Sabato 28 aprile vedevo ancora buio davanti agli occhi, come nei trascorsi quattro anni; domenica mattina, 29 aprile, aprii un po’ gli occhi, ma li sentivo pesanti per gli ultimi tormenti allo stomaco. Ero davvero molto spossata; a un certo momento aprii gli occhi e… credetti di sognare: vedevo tutto distintamente. Bussai alla mamma che accorse temendo che avessi ripreso il vomito sanguigno, invece mi udì esclamare felice: « Mamma, ci vedo! ». Lei credette che vaneggiassi e per sincerarsi pose un vaso di fiori bianchi davanti a me. « Oh, che bei fiori bianchi! », dissi io, « a maggio li porteremo in chiesa alla Madonna ». Immagini un po’, cara signorina, la gioia di quella domenica. Il sabato era stato tutto nero, come sempre, e la domenica vedevo tutto e bene. Ringrazio sempre, e assieme a Dio mille volte la piccola Teresa. Nessuno l’avrebbe creduto, e io meno degli altri, che allo stato in cui mi trovavo avrei recuperato la vista. Un anno fa il dottor Seidl disse a una mia zia: « Per gli occhi non c’è più alcuna speranza, dovrebbe succedere un miracolo per farli risanare». Sabato, 28 aprile, il medico era di nuovo qui, quando un crampo mi tirò il piede sinistro fin sotto il ginocchio destro. Ancora una volta lui disse: «Non c’è più nulla da fare». Stavo quasi per arrabbiarmi. I medici vedono nell’avvenire tanto poco quanto noi. Questo è riservato solo a Dio, per il nostro meglio, e noi dobbiamo abbandonarci con gioia alla Provvidenza divina. Che il buon Dio faccia di me quello che vuole. Se mi farà guarire, sarò contenta, e se mi farà soffrire per altri cinquant’anni alle gambe, fa lo stesso. Se mi vuol togliere di nuovo la vista, è affar suo; se mi facesse morire sarebbe la mia più gran gioia. Ho spesso tanta nostalgia del paradiso, ma forse dovrò salire ancora molti gradini della Via crucis… Con la vista, Teresa aveva riacquistato la possibilità di leggere e di ammirare la natura, grande gioia per lei. Gli altri guai però erano rimasti. I due anni che seguirono furono colmi di sofferenze, cristianamente accettate. Da una lettera che Teresa scrisse a una sua amica, che era stata sua compagna di scuola e con la quale aveva progettato di andare nelle missioni, possiamo renderci conto del modo in cui Teresa accettava le pene che quotidianamente la tormentavano: « Cara sorella, non va troppo male, anche se le sofferenze occupano gran parte del mio tempo. Questa ormai è la mia professione. Non mi è stato concesso di operare nelle missioni all’estero, conquistando anime al mio diletto Salvatore, ma posso farlo qui, a casa mia. Fa lo stesso, vero, il posto dove si opera; siamo dovunque a casa nostra finché non giungeremo alla nostra vera dimora verso la quale aneliamo con nostalgia! ».

 
17 MAGGIO 1925

Venne il giorno della canonizzazione della piccola Teresa di Lisieux, 17 maggio 1925. Dal Diario di padre Naber ricaviamo la descrizione di quanto avvenne: « Quel giorno fui chiamato presso l’ammalata perché non si sapeva che cosa avesse. La trovai con gli occhi fissi e rivolti verso qualcosa davanti a lei, le mani tese nella stessa direzione, il volto radioso; faceva cenni di assenso con la testa, come se stesse parlando con qualcuno. Improvvisamente si mise a sedere, cosa che per sei anni e mezzo non era riuscita a fare. Quando quello stato straordinario sparì, le chiesi dove fosse stata. Invece di rispondere, lei dichiarò con sorprendente sicurezza che ora poteva alzarsi e camminare. La madre guardò stupita il piede sinistro che da circa nove mesi era rattrappito e girato verso il destro: ora era di nuovo normale come l’altro. Subito la malata si alzò e sorretta dal padre camminò per la stanza per mezz’ora. Alla mia rinnovata domanda dove fosse stata, raccontò che all’improvviso, mentre pregava, le era apparsa davanti agli occhi una luce e una voce straordinariamente amichevole le aveva chiesto se volesse guarire; lei aveva risposto che per lei tutto andava bene, guarire, restare malata, morire, come voleva Dio. Al che la voce aveva replicato che oggi avrebbe avuto una piccola gioia, si sarebbe alzata e avrebbe camminato. Però avrebbe dovuto soffrire ancora molto e nessun medico avrebbe potuto curarla. Non doveva comunque disperare: “Io ti ho aiutata finora e ti aiuterò anche in avvenire”. La voce parlò ancora del significato del dolore e concluse: “Io ho scritto: Si salvano più anime coi patimenti che con le prediche più brillanti” ». (Vedi la VI lettera di santa Teresa di Gesù Bambino ai missionari). Da allora le due vertebre, che prima erano distorte e compresse, tornarono in posizione naturale, i crampi e la paralisi sparirono e la malata poté camminare appoggiandosi al bastone e a una persona… » L’opera fu completata qualche mese dopo: « Il 30 settembre, anniversario della morte di santa Teresa », leggiamo ancora nel Diario del parroco, « la meravigliosa luce apparve di nuovo e la stessa voce disse all’ammalata che Dio voleva che ora camminasse senza aiuto. E così fu ». Ancora una volta Teresa descrisse in una lettera a un’ amica suora la grande esperienza della guarigione. La lettera è datata 16 giugno 1925, un mese dopo il recupero dell’uso delle gambe: “Cara amica, voglio raccontare anche a te la grande, immeritata grazia che è stata concessa il 17 maggio. Pensa, cara amica, che ora posso sedere e camminare. Non so lontanamente descriverti come mi sento: tutto il mondo mi sembra nuovo… Sai, non sono mica guarita del tutto; anche la voce mi aveva detto che avrei sofferto ancora molto, ma questo mi rallegra perché senza dolori e patimenti non so più immaginare la vita. Ma i dolori più grandi, quelli alla spina dorsale, sono scomparsi completamente. Il punto leso sta bene, le vertebre sono tutte a posto, grazie a Dio. Ti voglio raccontare brevemente con e successo. Il 17 maggio, giorno della canonizzazione della piccola santa Teresa, stavo nel pomeriggio sola soletta nella mia stanza, immersa nella devozione del mese di maggio. Recitavo appunto il rosario quando d’improvviso si fece una gran luce davanti a me. Non posso descriverti quel chiarore. Al primo momento mi spaventai, tanto che gettai due forti grida che furono udite persino dai miei cari, da basso. Ma quando vennero su, non li vidi né li udii. Però non avevo più il crampo. I miei cari s’accorsero subito che avevo un altro aspetto. Vennero le sorelle Arzberg e mia sorella Anna, e poi andarono a chiamare il signor parroco. Egli racconta che, appena entrato dalla porta, comprese in quale stato mi trovassi: non somigliavo più a me, né sapevo chi fosse presente. Ma ciò che accadeva dentro di me lo ricordo come fosse ora. Quando vidi la luce, sentii una voce dolcissima che incominciò a chiacchierare. Mi chiese se volessi guarire. Risposi che per me andava bene tutto: vivere o morire, essere sana o malata. Tutto ciò che vuole il Signore va bene per me, tanto lui sa ciò che è per il meglio. Allora la voce disse: « Ti farebbe piacere se potessi badare a te stessa? », ed io: « Tutto mi fa piacere ». La voce disse ancora: « Perché sei così sottomessa, come piace al Signore, ora avrai anche tu una piccola gioia. Ma dovrai soffrire ancora molto e a lungo: nessun medico ti potrà aiutare. Io ti sono stata sempre vicina e continuerò ad esserlo. E ora puoi metterti a sedere. Prova, via, io ti aiuterò ». E qualcosa mi afferrò alla mano destra e mi aiutò a sedere. Ma nello stesso istante ebbi un dolore tremendo nel punto leso della spina dorsale, tanto che mi dovetti sdraiare di nuovo. La voce continuò a parlare ancora e ancora, ma ora diceva soltanto cose che riguardavano il mio intimo. Parlò molto e insistentemente delle sofferenze, ma questo non intendo rivelarlo. Solo al mio confessore narrai tutto, per obbedienza. La voce aggiunse ancora una frase riguardo ai patimenti: « Questo l’ho già scritto tempo fa». Da quella frase il mio confessore riconobbe che la voce apparteneva a santa Teresa, perché la trovò nei suoi scritti, ma solo il lunedì seguente. La voce parlò ancora di cose spirituali e poi disse: « Adesso puoi alzarti e camminare ». Di nuovo sentii afferrare la mia mano e sedetti. Poi la voce disse ancora qualche cosa e d’improvviso la luce sparì. Solo in quel momento vidi e udii i miei cari… Si, cara amica, le mie vertebre ora sono diritte e così anche la gamba, solo un po’ più corta. Come abbia fatto a raddrizzarsi, non lo ricordo affatto, ma la mia cara mamma e le reverende suore videro, durante quell’ora, che a poco a poco la gamba si stendeva, mentre prima era ancora tutta rattrappita. Qualche giorno dopo venne il dottor Seidl e rimase stupefatto. Egli mi visitò a fondo e constatò che la lesione al midollo spinale era del tutto guarita. Però proprio del tutto sana non lo sono, sai; quelle sofferenze che dipendono dal sangue sono rimaste. Se la santissima volontà di Dio avesse disposto che guarissi completamente, la voce me l’avrebbe detto. Già così sono molto felice: senza patimenti non vorrei vivere. Ora i miei cari non hanno più tanto da fare intorno a me… anzi, ora che c’è la raccolta del fieno sono io che lavo i piatti e che rassetto le stanze da basso. Poi vado a passeggiare nel bel mondo di Dio e tutto mi sembra nuovo. Quant’è buono il Signore con noi peccatori! Quante gioie dà al mondo! Io mi rallegravo già tanto quando mi portavate i fiori e ora, pensa, posso raccoglierli da me”. Con la guarigione dalla paralisi alle gambe i miracoli non erano però finiti. Il 13 novembre di quello stesso anno Teresa Neumann ebbe un violento attacco di appendicite acuta con febbre altissima. Il medico curante, dottor Seidl, ravvisò la necessità di un’immediata operazione, da farsi nel vicino ospedale di Waldsassen. Poiché la madre di Teresa piangeva disperatamente, la malata chiese al parroco padre Naber se potesse posare una reliquia di santa Teresa di Lisieux sulla parte dolente e implorare il suo aiuto. Il parroco non trovò nulla da obiettare e Teresa allora fece posare la reliquia sull’addome sofferente e pregò: « Santa Teresa! Tu puoi aiutarmi! L’hai già fatto tante volte! Non lo chiedo per me, ma sentì un po’ cosa sta combinando la mamma! » Padre Naber, che fu presente tutto il tempo, così descrisse il fatto nel suo Diario: « La malata si contorceva nel letto come un verme, mentre i presenti pregavano santa Teresa. All’improvviso si voltò verso qualcosa, aprì gli occhi, il viso le divenne radioso, alzò le mani e le tese verso qualcuno davanti a sé, disse alcune volte: “Si”, e poi si drizzò. Premette alcune volte sulla parte ammalata chiedendo: “Veramente?”. Io domandai allora se fosse apparsa di nuovo santa Teresa e la risposta fu: “Si, e ha detto che devo andare subito in chiesa a ringraziare Dio. Mamma, portami un vestito!”. Si vestì e andammo in chiesa, tra lo stupore di tutta la gente del paese. Ogni dolore era passato. Durante la notte tutto il pus fu espulso per via naturale, solo le croste provocate dalla febbre sulle sue labbra durarono otto giorni. Oltre a sentire la voce, Teresa aveva visto questa volta anche una mano, bianca e sottile. La voce aveva detto: “La tua completa sottomissione e la tua gioia nel sopportare i dolori mi rallegrano. Affinché il mondo riconosca che questo è un avvenimento straordinario, non occorre che ti operi; ma va’ subito, subito, a lodare il Signore e a ringraziarlo. Tu dovrai soffrire ancora molto, ma non temere nulla, neppure i patimenti interiori. Solo così potrai contribuire alla salvezza delle anime. Dovrai sempre di più rinunciare al tuo io, ma resta sempre così, candidamente innocente…». La strada di Teresa Neumann era segnata: visioni soprannaturali e sofferenze caratterizzeranno d’ora in poi la sua esistenza.

 
Teresa Neumann

di Vittorio Messori, in Pensare la storia,

Edizioni San Paolo, Milano, 1992, pp. 363-365.

Nel 1939, subito dopo l’inizio della guerra, a tutti i tedeschi fu distribuita una tessera annonaria. Il razionamento del cibo durò in Germania sino a quasi tutto il 1948. Per quei nove anni, un solo cittadino -anzi, una cittadina- non ebbe diritto a quella tessera perché non mangiava ne’ beveva alcunché. Le era però concessa una doppia razione di sapone, essendole riconosciuta la necessità di lavare ogni settimana la biancheria inzuppata di sangue. Così, anche la pedantesca, impersonale burocrazia germanica -persino quella del terzo Reich nazista!- rendeva testimonianza di uno dei “casi” più misteriosi di ogni tempo: quello di Teresa Neumann, da Konnersreuth, Alta Baviera, la contadina che per 36 anni si nutrì soltanto dell’ostia consacrata; che ogni settimana, dalla notte del giovedì sino al mattino della domenica, riviveva nella sua carne tutto il mistero di Passione Morte e Risurrezione di Gesù. Teresa e’ morta nel 1962, a 64 anni. Perché parlarne proprio ora? Innanzitutto perché, dopo il minuzioso processo svolto nella sua diocesi,quella di Ratisbona, sta per essere raggiunta la meta sollecitata dalle migliaia di persone devote al suo ricordo e grate per la sua intercessione:l’introduzione a Roma, cioè, della causa di beatificazione e canonizzazione. Poi, perché-proprio in prospettiva dell’auspicata beatificazione-una nota scrittrice e giornalista, laica ma aperta alla possibilità del Mistero, Paola Giovetti, ha appena pubblicato -presso le Edizioni Paoline -una biografia della mistica, basandosi in gran parte su documenti e testimonianze di prima mano. Figlia di un povero sarto e di una contadina, buona cattolica, ma aliena da ogni bigotteria, allegra, vivace, amante degli scherzi innocenti (per tutta la vita la seguirà il sospetto di “non riuscire a essere seria”: buon segno di credibilità, vista la cupezza seriosa che sempre accompagna i mistificatori e i maniaci religiosi), Teresa Neumann a vent’anni -era nata nel 1898- si procurò una lesione alla spina dorsale mentre correva in soccorso dei vicini cui si era incendiata la cascina. Ne ricavò prima una paralisi alle gambe e poi, per un’altra rovinosa caduta, anche la cecità totale. Il padre, fante sul fronte occidentale, le aveva portato dalla Francia l’immaginetta di una giovane carmelitana non ben conosciuta ancora in Baviera: tale Teresa del Bambino Gesù, del monastero di Lisieux. La giovane immobile e cieca cominciò a pregarla. Il 29 aprile del 1923, giorno della beatificazione della piccola francese, la sua omonima tedesca Teresa Neumann, stesa nel suo letto di paralitica, riacquistava di colpo la vista. Due anni dopo, il 17 maggio 1925, mentre Pio XI a Roma dichiarava santa la carmelitana di Lisieux, ancora una volta d’un tratto, ritrovava l’uso delle gambe. Un anno dopo, nel periodo pasquale, altro colpo di scena: pur del tutto ignara del “fenomeno della stigmatizzazione e ben lontana dal desiderarla (solo per necessità finirà per accettare il suo straordinario quanto pesante destino), la giovane contadina scopriva che sulle mani, sui piedi, al costato e anche sul capo le erano impressi i segni della Passione. Da allora, per 36 anni, sino alla morte, nella notte di ogni giovedì entrava letteralmente nei racconti evangelici che iniziano dall’Ultima Cena. Come “in tempo reale” accompagnava Gesù sino alla morte, nel primo pomeriggio di venerdì, sanguinando copiosamente dalle ferite e versando sangue abbondante anche dagli occhi. Pur conoscendo solo il dialetto della regione, Teresa Neumann ripeteva ad alta voce i lunghi dialoghi che sentiva in aramaico, greco, latino: innumerevoli specialisti di lingue antiche, seduti al suo capezzale, sbalordivano dell’esattezza dei quei linguaggi esotici, a lei del tutto ignoti. Dalle 15 del venerdì cadeva in un sonno profondo da cui si risvegliava (gioiosa, con le ferite rinchiuse, il corpo fresco), il mattino della domenica, rivivendo la scena della resurrezione. Sin dal tempo della guarigione dalla cecità e dalla paralisi sentiva sempre meno il desiderio di nutrirsi. Da quando ebbe le stigmate e cominciarono le visioni, per 36 anni, sino alla fine, non mangiò né bevve più nulla, assumendo soltanto (ogni mattina alle sei), l’ostia della comunione. Naturalmente, tutto fu tentato per smascherarla come simulatrice, ma sempre i medici invitati per controllarla partivano dallo scetticismo per approdare a clamorosi conversioni di fronte all’enigmatica verità. La diocesi di Ratisbona istituì addirittura una commissione composta da sanitari e di quattro suore giurate che, a turno, per settimane, non persero di vista Teresa né di giorno né di notte, non lasciandola mai sola. Altre commissioni “laiche” giunsero tutte alla medesima conclusione di quella ecclesiastica: la donna non si nutriva, davvero, che di eucaristia: (rifiutando estensivamente l’ostia quando, per metterla alla prova, le porsero particole non consacrate). Così, come disse il suo parroco, “in lei si compì alla lettera di Gesù: la mia carne e’ davvero cibo e il mio sangue davvero bevanda; o l’altra: non di solo pane vivrà l’uomo. Quasi il Cristo volesse mostrare che nutrirsi misticamente di Lui basta anche alla vita fisica”. C’è da aggiungere che- al di fuori dei giorni della Passione e Resurrezione, la Neumann faceva vita normale: lavorava in giardino e talvolta nei campi, si muoveva nei dintorni, riceveva, consolava, spesso guariva migliaia di pellegrini, rispondeva di persona ad innumerevoli lettere. Il suo aspetto era quello florido e roseo della buona casalinga bavarese, aliena da pose misticheggianti; il suo corpo aveva tutte le funzioni normali ma nessuna escrezione, ne’ solida ne’ liquida, ad eccezione del sudore e del sangue. Il peso diminuiva tra il venerdì e la domenica di quasi cinque chili ma subito si riassestava, pur senza nutrirsi, su quello normale, tra i 55 e i 60 chili. Pur decisamente antinazisti, come quasi tutti i cattolici bavaresi, i Neumann non furono molestati per ordine personale di Hitler che, superstiziosamente, temeva quella donna e, soprattutto, temeva le sue visioni che annunciavano per lui il dies irae. Quasi certamente, il nome di Teresa sarà presto iscritto nel libro dei beati (tra l’altro decine di miracoli attribuiti dopo la morte alla sua intercessione). Ma c’è ancora posto per le Neumann in certa chiesa d’oggi? Non sono proprio i “casi” come i suoi i più estranei se non imbarazzanti per certi nostri modi attuali di intendere la fede?