Storia di Santa Teresina

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Prima di sposarsi Luigi Martin, il papà di Teresa, aveva tentato la via del chiostro. Nel 1845, a 22 anni, salì al Monastero del Gran S. Bernardo, ma non fu accettato tra i monaci. Di temperamento profondamente contemplativo, avevo scelto la professione di orologiaio in Alençon, una piccola città a duecento chilometri da Parigi. Il lavoro minuzioso e di precisione esigeva raccoglimento e silenzio: nulla di meglio per elevare lo spirito a Dio. Lunghe passeggiate solitarie e la pesca erano il suo passatempo preferito.

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Zelia Guérin, la mamma di Teresa, aveva desiderato anch’ella di entrare in un Istituto religioso. Si era presentata presso le Suore di S. Vincenzo, ma ricevette una categoria risposta che quella non era la volontà di Dio. A malincuore chinò il capo e da allora si limità a far salire al cielo questa semplice supplica: Signore, poiché non sono degna di esservi sposa, entrerò nello stato matrimoniale per compiere la vostra santa volontà. Ma vi prego, datemi molti figli e che vi siano tutti consacrati. La sua preghiera fu pienamente esaudita: cinque delle sue figlie, tra cui Teresa, diventeranno claustrali. Era un’espertissima merlettaia nel cosiddetto “punto di Alençon”.

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Quando nacque Teresa, 2 gennaio 1873, la famiglia Martin era composta, oltre che dai genitori, da Maria, Paolina, Leonia; altri quattro figli, due maschi e due femmine, erano morti in tenera età. “Per tutta la mia vita è piaciuto a Dio circondarmi d’amore; i primi ricordi sono sorrisi e carezze tenerissime! .. Ma, se Egli mi aveva messo intorno tanto amore, ma ne avevo posto anche nel cuore, creando amante e sensibile; così amavo grandemente papà e mamma e dimostravo il mio affetto in mille modi, perché ero molto espansiva” (4v°, 14).

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La piccola Teresa è molto gracile. La portano nella vicina Semallé, in campagna. Più tardi mamma Zelia scrive: “Teresa è una gran bella bimba abbronzata dal sole; la sua balia la trasporta in carriola per i campi seduta sopra fasci d’erba; non grida quasi mai. La ‘Rosina” dice che non si può vedere una bambina più graziosa. Così, come vede, mia cara sorella, tutto va per il meglio… La piccola è dolce e carina come un angioletto. Ha un carattere incantevole, lo si vede già: ha un sorriso tanto dolce. Non vedo il momento di averla a casa… sarà bella ed è già graziosa; ammiro la sua boccuccia che la balia mi dice ‘grande come un occhio’!… sarà di buon carattere, pare molto intelligente e ha un visiono da predestinata” (6v°, 24).

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Scrive la mamma di Teresa alle due figlie maggiori, Maria e Paolina, che sono in pensionato: “Ultimamente mi è accaduta un’avventura curiosa con la piccina. Ho l’abitudine di andare a messa delle cinque e mezzo, nei primi giorni non osavo lasciarla, ma vedendo che non si svegliava mai, ho finito per decidermi. La metto nel mio letto e accosto la culla, in modo che lei non possa cadere. Un giorno però dimentico di avvicinare la culla. Ritorno… la piccina non c’è più: nello stesso attimo sento uno strilletto. Guardo e la vedo seduta sopra una seggiola accanto al letto, con la testina appoggiata al traversino, e dormiva agitata per la posizione scomoda. Avrebbe dovuto ruzzolare per terra, ma il suo Angelo ha vegliato” (Lettera 119).

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A due anni e mezzo, la piccola Teresa va con la mamma in visita dalla zia Maria Luisa, monaca a Le Mans. “Al momento dei saluti – scrive Teresa – la zia mi ha passato un piccolo paniere pieno di caramelle, sulle quali troneggiavano due graziosi anelli di zucchero grossi proprio come il mio dito; subito gridai: “Che bello! Ci sarà un anello anche per Celina”. Ma che dolore! Prendo il paniere per il manico, do l’altra mano alla mamma e partiamo: dopo pochi passi guardo il paniere e vedo che le caramelle erano quasi tutte seminate per la strada. Guardo ancora più da vicino e vedo che uno dei preziosi anelli aveva seguito la sorte fatale delle caramelle… Non avevo più niente da dare a Celina!” (7v°, 27).

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Un giorno Leonia, reputandosi troppo grande per certi giochi infantili, riempie un cestino con la sua bambola preferita, i suoi abitini, i nastri e i ritagli di stoffa, e mette tutto a disposizione delle due sorelle più piccole, perché scelgano a loro piacimento. Dopo che Celina aveva preso ciò che le piaceva, Teresa afferra il cestino dicendo: “Io scelgo tutto!”. Di questo gesto della sua infanzia Teresa si ricorderà più avanti, quando sarà felice di poter dire a Dio: “Io scelgo tutto ciò che tu vuoi”.

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Teresa aveva un’estrema paura del buio. La mamma, per farle vincere questa debolezza, la mandava ogni sera al piano superiore con un semplice incarico. La piccola non voleva disobbedire, ma salire quella scala le incuteva un vero terrore. Escogitò allora un compromesso. Ad ogni scalino chiama: «Mamma, mamma!» e se la signora Zelia si dimentica di rispondere ogni volta: «Sì, bambina mia!» Teresa resta ferma sullo scalino, aspettando la risposta materna. Un giorno farà così anche con Gesù, chiamandolo nel suo cuore ad ogni istante.

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La domenica, essendo troppo piccola per andare alla Santa Messa, Teresa rimaneva a casa con la mamma. Era però abitudine portarle a casa il pane benedetto. Scrive Teresa stessa: “Appena vedevo aprirsi la porta, era un’esplosione di gioia senza pari: «Oh, Celina mia, dammi subito il pane benedetto!». A volte non ne aveva, perché era arrivata troppo tardi. Come fare allora? Mi era impossibile farne a meno: quella era la “mia messa”. Il rimedio era subito trovato. «Non hai il pane benedetto? Ebbene, fanne!». Detto fatto, Celina prende il pane e molto seriamente ci recita sopra un’Ave Maria, poi me lo offre ed io, dopo aver fatto il segno della Croce, lo mangio con grande devozione, trovando che ha proprio il gusto del pane benedetto” (9v°, 36).

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Scrive mamma Zelia alla figlia Paolina: “Le due piccole (Celina e Teresa) non mi preoccupano, sono tanto care tutte due, sono nature scelte, certamente saranno buone. Celina non commette mai la minima colpa volontaria. La piccina sarà buona anche lei, non direbbe una bugia per tutto l’oro del mondo e ha spirito come non ne ho visto a nessuna di voi”. Scriverà anni dopo Teresa: “Amavo già gli orizzonti lontani. Le distese e gli abeti giganteschi, i cui rami toccavano terra, mi lasciavano nel cuore un’impressione simile a quella che provo ancora oggi alla vista della natura… Oh, davve-ro tutto mi sorrideva sulla terra, trovavo fi ori sotto ogni passo e anche il mio carattere felice contribuiva a rendermi piacevole la vita” (11v°, 40).

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“Cosa dire poi delle veglie d’inverno, soprattutto di quelle del-la domenica? Ah! come mi era dolce dopo la partita a dama sedermi con Celina sulle ginocchia di Papà… Con la sua bella voce, egli cantava dei motivi che riempivano l’anima di pensieri profondi… oppure, cullandoci dolcemente, recitava delle poesie impregnate di verità eterne… Dopo salivamo per fare la preghiera in comune e la reginetta stava da sola accanto al suo Re: non aveva che da guardarlo per sapere come pregano i Santi” (18r°, 63).

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“Una notte ho sognato che uscivo per andare a passeggiare da sola in giardino. Davanti a me c’era un barile di calce e su questo barile due orrendi diavoletti ballavano con un’agilità sorprendente, nonostante i ferri da stiro che avevano ai piedi. Ad un tratto gettarono su di me i loro occhi fiammeggianti, poi, sembrando molto più spaventati di me, si precipitarono giù dal barile e andarono a nascondersi nella lavanderia. Vedendoli così poco coraggiosi, mi avvicinai alla finestra. I poveri diavoletti erano là che correvano sui tavoli e non sapevano come fare per fuggire il mio sguardo. Credo che il Buon Dio mi abbia voluto far capire che un’anima in stato di grazia non ha niente da temere dai demoni che sono dei vigliacchi, capaci di fuggire davanti allo sguardo di una bambina” (10v°, 38).

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“Durante le passeggiate che facevo con Papà, gli piaceva farmi portare l’elemosina ai poveri che incontravamo: un giorno ne vedemmo uno che si trascinava faticosamente sulle stampelle, mi avvicinai per donargli un soldo, ma egli pensò di non essere abbastanza povero per ricevere l’elemosina. Non posso esprimere quello che accadde nel mio cuore: avrei voluto consolarlo, soccorrerlo… Allora mi ricordai di aver sentito dire che il giorno della Prima Comunione si ottiene tutto quello che si domanda. Questo mi consolò e dissi: « Il giorno della mia Prima Comunione pregherò per il mio povero». Mantenni la promessa cinque anni dopo” (15r°, 52).

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Tutta questa felicità dell’infanzia svanirà all’improvviso, quando la signora Zelia Guérin, consumata da un male incurabile, morirà nell’agosto del 1877. Le cinque figlie sono sconvolte. Teresa, che ha solo quattro anni e mezzo, si getterà tra le braccia della sorella Paolina chiedendole di farle da “seconda mamma”. Scriverà anni dopo Teresa: «A partire dalla morte della mamma, il mio carattere felice cambiò completamente. Io, così vivace, così espansiva, diventai timida e dolce, sensibile all’eccesso» (12r°, 41).

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Nel novembre 1877 tutta la famiglia lascia Alençon per trasferirsi a Lisieux. In quella città abitano gli zii Guérin e le loro due fi glie: Giovanna di nove anni e Maria di sette. Teresa non soffrì per il cambiamento, anzi: «Non provai alcun dispiacere a lasciare Alençon, – scrive – i bambini amano i cambiamenti e fu con piacere che venni a Lisieux» (13v°, 46). Teresa ama correre e giocare con la sorella Celina e le due cuginette nel grande giardino dei “Buissonnets”, come si chiamava l’incantevole casa, situata sulle alture di Lisieux.

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Teresa, con la cugina Maria, frequenta la scuola all’Abbazia delle Benedettine. “Una sera, tornando dall’Abbazia, dissi a Maria: «Guidami tu, io chiudo gli occhi». «Voglio chiuderli anch’io», mi rispose. Detto fatto, senza discutere ognuna fece come volle… Dopo una piacevole passeggiata di qualche minuto, le due piccole sbadate caddero insieme sopra alcune casse, poste alla porta di un negozio; o meglio, esse fecero cadere queste ultime. Il venditore venne fuori tutto arrabbiato per rialzare la sua merce: le due cieche volontarie si erano pur rialzate da sole e camminavano a grandi passi, con gli occhi spalancati” (23v°, 78).

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Una sera d’estate, tornando dalla casa dello zio insieme al papà, Teresa fu colpita dalla bellezza del cielo stellato. Scrisse più tardi: “C’era soprattutto un gruppo di perle d’oro che osservavo con gioia pensando che aveva la forma di una T, lo facevo vedere a Papà dicendogli che il mio nome era scritto nel Cielo e poi, non volendo vedere niente della brutta terra, gli chiedevo di guidarmi. Allora, senza guardare dove mettevo i piedi, stavo con la testolina per aria senza stancarmi di contemplare il cielo stellato!” (18r°, 62).

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Teresa amava molto i fiori e li coltivava in un angolo del suo orto, per poi offrirli, piena di gioia, al papà o per portarli al piccolo presepio che aveva costruito in una fessura del muro del giardino, davanti al quale si soffermava spesso a pregare Gesù Bambino. Ma le ricreazioni più attese da Teresa erano quelle del giovedì, giorno di vacanza, quando il babbo la portava in campagna o in riva ad un ruscello. Spesso, dopo aver provato a pescare, si appartava tra le piante e i suoi pensieri si facevano molto profondi…

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Quando ebbe 7 anni Teresa, ben preparata dalla sorella Paolina, fece la sua prima confessione nella Cattedrale di san Pietro a Lisieux. Ricordando quel giorno, Teresa scrisse: “Entrai nel confessionale e mi misi in ginocchio, ma aprendo la grata don Ducellier non vide nessuno: ero così piccola che la mia testa stava sotto la tavoletta su cui si appoggiano le mani. Allora mi disse di restare in piedi; obbedii subito, mi alzai e, voltandomi proprio davanti a lui per vederlo bene, feci la mia confessione come una ragazza grande e ricevetti la sua benedizione con grande devozione” (16v°, 57).

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Un pomeriggio, mentre papà era in viaggio ad Alençon, avvenne questo fatto straordinario, che Teresa stessa ricorderà più tardi così: «Mi trovavo da sola alla finestra di una mansarda, quando vidi davanti alla lavanderia un uomo vestito come Papà, della stessa statura e con lo stesso passo, solo che era molto più curvo… La testa era coperta da una specie di grembiule di colore indefinito in modo che non riuscii a vedere il viso. Allora chiamai molto forte, con una voce che tremava per l’emozione: “Papà! Papà!”. Ma il misterioso personaggio pareva non udirmi» (20r°, 68). Divenuta grande, Teresa capirà il senso di quella visione: il volto del suo amato papà, colpito da una malattia mentale, si sarebbe velato di sofferenza come il Santo Volto di Gesù sulla Croce.

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E arriva finalmente anche il periodo felice delle vacanze. Spesso la famiglia Martin si ritrova in riva al mare, a Trouville, dove gli zii affittano una villetta. Che felicità per la piccola Teresa. Ricorderà poi, scrivendo i suoi ricordi: «La sera, nell’ora in cui il sole sembra immergersi nell’immensità dei flutti, lasciandosi davanti un solco luminoso, andavo a sedermi tutta sola su una roccia con Paolina… Lo contemplai a lungo quel solco luminoso, immagine della grazia che illumina il cammino che deve percorrere il piccolo vascello dalla bella vela bianca… Accanto a Paolina, presi la decisione di non allontanare mai la mia anima dallo sguardo di Gesù, affinché voghi in pace verso la Patria dei Cieli!» (22r°, 73).

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Nel 1882 la sorella Paolina lasciò la famiglia per entrare nel Carmelo di Lisieux col nome di suor Agnese di Gesù. Per Teresa il distacco dalla sua “seconda mamma” fu un colpo gravissimo e dopo due mesi anche la sua salute ne risentì. Fu colpita da una strana malattia: soffriva di un forte mal di testa, che la portava a pronunciare parole che non avevano senso; spesso veniva colpita da un tremito che la intontiva e la rendeva come svenuta. Ogni rimedio si mostrava inefficace ed i medici stessi disperavano ormai di poterla salvare.

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Il 13 maggio 1883, giorno di Pentecoste, le sorelle Maria, Leonia e Celina si inginocchiarono davanti alla statua della Vergine Maria, posta accanto al letto di Teresa, per chiederle il miracolo. Anche Teresa si unì alla loro preghiera. «All’improvviso – scrive Teresa – la Madonna mi parve bella, così bella, che non avevo mai visto nulla di così bello: il suo volto spirava una bontà e una tenerezza ineffabile, ma ciò che mi penetrò fino in fondo all’anima fu l’incantevole “sorriso della Madonna”. Allora tutte le mie sofferenze svanirono» (30r°, 94). Ed in breve Teresa ritrovò la sua vivacità.

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“Leggendo i racconti delle gesta patriottiche delle eroine francesi, in particolare quelle di Giovanna d’Arco, avevo un grande desiderio di imitarle. Mi sembrava di sentire in me lo stesso ardore da cui erano animate, la stessa ispirazione celeste: allora ricevetti una grazia che ho sempre ritenuto come una delle più grandi della mia vita. Pensai che ero nata per la gloria e, mentre cercavo il mezzo per giungervi, il Buon Dio mi fece capire che la mia gloria non sarebbe apparsa agli occhi mortali e che consisteva nel divenire una grande Santa!!!” (32r°, 99).

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L’8 maggio 1884 fu il giorno meraviglioso della Prima Comunione, alla quale Teresa si era preparata diligentemente e con dei fioretti, per correggere i suoi piccoli difetti. Ecco cosa scrive di quel giorno: “Fu un bacio d’amore, mi sentivo amata, e perciò dicevo: «Ti amo, Gesù, mi dono a te per sempre»” (35r°, 109). In quel giorno, per Teresa, tutte le cose terrene avevano perso la loro importanza, anche il bell’orologio che papà le aveva regalato.

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Teresa viene a conoscenza di un fatto doloroso del quale si parla in tutta la Francia: un uomo, di nome Enrico Pranzini, è accusato d’aver ucciso a Parigi due donne e una bambina. Egli si dichiara innocente, ma il tribunale lo condanna a morte. Subito Teresa sente di voler bene a colui che chiamerà “il mio primo figlio spirituale”: per la sua conversione prega, moltiplica i sacrifici e fa celebrare Messe. Scriverà poi: “La mia preghiera fu esaudita alla lettera! Il giorno dopo la sua esecuzione mi trovo sotto mano il giornale La Croix. Lo apro in fretta e cosa vedo? Pranzini non si era confessato, era salito sul patibolo, quando a un tratto, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presenta e bacia per tre volte le sante piaghe!” (46r°, 135).

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Da lungo tempo anche Teresa desiderava entrare al Carmelo, ma occorreva il permesso del papà. “Per fare la mia grande confidenza scelsi il giorno di Pentecoste: tutto il giorno supplicai i Santi Apostoli di pregare per me, di ispirarmi le parole che dovevo dire… Fu solo il pomeriggio, di ritorno dai vespri, che trovai l’occasione di parlare al mio Papà diletto. Era andato a sedersi sul bordo della cisterna e là contemplava le meraviglie della natura. Senza dire una sola parola andai a sedermi accanto a lui, gli occhi già bagnati di lacrime; egli mi guardò con tenerezza, mi prese la testa e l’appoggiò sul suo cuore dicendomi: «Che hai reginetta mia? Confidamelo!». Tra le lacrime gli confidai il mio desiderio di entrare al Carmelo (50r°, 143)

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“Mi ricordo perfettamente fu il gesto simbolico che il mio diletto Re compì senza saperlo. Avvicinandosi ad un muro non molto alto, mi mostrò dei fiorellini bianchi simili a dei gigli in miniatura e, prendendo uno di quei fiori, me lo diede, spiegandomi con quanta cura il Buon Dio l’aveva fatto nascere e l’aveva conservato fino a quel giorno. Sentendolo parlare, credevo di ascoltare la mia storia, tanta era la somiglianza tra quello che Gesù aveva fatto per il piccolo fiore e la piccola Teresa… Ricevetti quel fiorellino come una reliquia e vidi che nel coglierlo Papà aveva tolto tutte le sue radici senza spezzarle: sembrava destinato a vivere ancora in un’altra terra più fertile del muschio tenero nel quale erano trascorsi i suoi primi giorni… Era proprio questo stesso atto che Papà aveva fatto per me alcuni istanti prima, permettendomi di salire la montagna del Carmelo e di lasciare la dolce valle, testimone dei miei primi passi nella vita” (50v°, 143).

venezia

“Il viaggio in Italia mi ha istruita di più quello solo che non lunghi anni di studi; mi ha mostrato la vanità di tutto ciò che passa e come tutto è afflizione di spirito sotto il sole. Comunque ho visto cose bellissime, ho contemplato tutte le meraviglie dell’arte e della religione, soprattutto ho calpestato la stessa terra dei santi Apostoli, la terra bagnata dal sangue dei martiri. Venezia non è senza fascino, ma trovo triste questa città. Il palazzo dei dogi è splendido, tuttavia è triste anch’esso con i suoi ampi appartamenti che sfoggiano l’oro, il legno, i marmi più preziosi e le pitture dei maggiori maestri. Da molto tempo le sue volte sonore hanno smesso di udire la voce dei governatori che pronunciavano sentenze di vita e di morte nelle sale che abbiamo attraversato… Hanno smesso di soffrire gli infelici prigionieri rinchiusi dai dogi nelle segrete e nei nascondigli sotterranei… Visitando quelle prigioni raccapriccianti, mi immaginavo di essere al tempo dei martiri e avrei voluto poterci rimanere allo scopo di imitarli!” (59v°, 165).

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Scavalcando la staccionata, Teresa e Celina discesero tra le rovine dell’anfiteatro. “Come i guerrieri sentono aumentare il coraggio in mezzo al pericolo, così la nostra gioia cresceva in proporzione alla difficoltà che avevamo per raggiungere l’oggetto dei nostri desideri. Celina, più previdente di me, aveva ascoltato la guida e, ricordandosi che aveva parlato di un certo pezzo di pavimento con sopra una croce, che era quello su cui combattevano i martiri, si mise a cercarlo; poco dopo lo trovammo e, inginocchiandoci su quella terra sacra, le nostre anime si fusero in un’unica preghiera. Il cuore mi batteva fortissimo quando avvicinai le labbra alla polvere imporporata dal sangue dei primi cristiani; chiesi la grazia di essere anch’io martire per Gesù e sentii in fondo al cuore che la mia preghiera era esaudita!” (61r°, 168)

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“Santo Padre – dissi – in onore del vostro giubileo, permettetemi di entrare nel Carmelo a quindici anni !” L’emozione certo mi fece tremare la voce, cosicché il Santo Padre disse: ‘Non capisco molto bene’. ‘Beatissimo Padre – rispose il Vicario Generale – è una bambina che desidera entrare nel Carmelo a quindici anni, ma i superiori stanno esaminando la questione’. ‘Ebbene, figlia, rispose il Santo Padre guardandomi con bontà – fate ciò che vi diranno i superiori’. Allora, appoggiando le mani sulle sue ginocchia, tentai un ultimo sforzo e dissi con voce supplice: ‘Oh! Beatissimo Padre, se voi diceste sì, tutti sarebbero d’accordo!”. Mi guardò fissamente e pronunciò queste parole appoggiando su ciascuna sillaba: “Bene… bene… Entrerete se Dio lo vorrà” (63r°, 174).

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“La mattina del 9 aprile 1888, dopo aver dato un ultimo sguardo ai Buissonets, nido grazioso della mia infanzia che non avrei rivisto mai più, partii al braccio del mio caro Re per salire la montagna del Carmelo. Che momento fu quello! Dopo aver abbracciato tutti i miei cari, m’inginocchiai dinanzi al mio incomparabile Padre, chiedendogli la benedizione; per darmela, si mise in ginocchio egli stesso e mi benedisse piangendo. Fu uno spettacolo che dovette far sorridere gli angeli: quel vegliardo che presentava al Signore la figlia ancora nella primavera della vita. Dopo qualche istante le porte dell’arca santa si chiusero dietro di me, e là ricevetti gli abbracci delle sorelle care che mi erano state mamma” (Maria e Paolina) (69r°, 193).

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“Appena entrata fui condotta in coro e poi seguii la Madre priora Maria Gonzaga nei diversi ambienti del monastero: tutto mi pareva incantevole, mi credevo trasportata nel deserto, soprattutto la nostra celletta mi affascinava, ma la gioia che provavo era calma; non un soffio, sia pur lieve, ondulava le acque sulle quali navigava la mia navicella; non c’erano nubi nel mio cielo limpido. Ah! Ero pienamente ricompensata di tutte le mie prove. Con quale gioia profonda ripetevo queste parole: ‘Per sempre, sono qui per sempre! Sono venuta per salvare le anime, e soprattutto a pregare per i sacerdoti’” (69v°, 195).

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“Avevo talvolta delle tentazioni così violente di entrare da lei per cercare conforto, per trovare qualche goccia di gioia, che ero costretta a passare rapidamente davanti alla procura e aggrapparmi alla ringhiera della scala. Mi veniva in mente una folla di permessi da chiedere: insomma, Madre amata, trovavo mille ragioni per accontentare la mia natura. … Come sono felice adesso di essermene astenuta fin dall’inizio della mia vita religiosa! Provavo grande consolazione perché in refettorio avevo lo stesso incarico di Paolina e potevo contemplare da vicino le sue virtù, ma questo ravvicinamento mi era causa di sofferenza; non mi sentivo come un tempo libera di dire a lei tutto, c’era la regola da osservare, non potevo aprirle l’anima mia; insomma ero al Carmelo, e non più ai Buissonets sotto il tetto paterno” (75r°, 212).

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“Avevo sempre desiderato che il giorno della mia vestizione la natura fosse vestitia di bianco come me… Dopo aver abbracciato per l’ultima volta il mio diletto Re, rientrai in clausura: la prima cosa che vidi sotto il chiostro fu ‘il mio piccolo Gesù’ che mi sorrideva in mezzo ai fiori e alle luci e subito dopo il mio sguardo si posò sui fiocchi di neve … il cortile era bianco come me. Che delicatezza di Gesù! Prevenendo i desideri della sua piccola fidanzata, le donava la neve … La neve: chi è dunque il mortale per quanto potente che possa farla cadere dal Cielo per ammaliare la sua amata? Forse le persone del mondo si fecero questa domanda; è certo però che la neve della mia vestizione parve loro come un piccolo miracolo e tutta la città ne fu stupita” (72v°, 204).

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“Mi impegnavo soprattutto a praticare le virtù piccole, così mi piaceva ripiegare i mantelli dimenticati dalle consorelle, e rendere a queste ultime tutti i servizi che potevo. Facevo anche parecchi sforzi per non scusarmi, cosa che mi sembrava difficilissima, soprattutto con la nostra Maestra alla quale non avrei voluto nascondere niente. Ecco la mia prima vittoria, non è grande, ma mi è costata molto. Un vasetto posto dietro una finestra venne trovato rotto; la nostra Maestra, credendo che fossi stata io a mancare di attenzione, me lo mostrò dicendomi di stare più attenta un’altra volta. Senza dire nulla baciai per terra, poi promisi di essere più ordinata in avvenire” (74v°-210). C’è inoltre in comunità una consorella che ha il talento di dispiacermi in tutte le cose. Quando ho la tentazione di risponderle sgarbatamente, mi limito a farle il più amabile dei miei sorrisi” (13v°, 292).

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“Ogni sera, quando vedevo Suor San Pietro scuotere la clessidra, sapevo che quello voleva dire: andiamo! È incredibile come mi costava scomodarmi; soprattutto all’inizio tuttavia lo facevo immediatamente, e poi iniziava tutta una cerimonia. Bisognava spostare e portare il banchetto in un certo modo, soprattutto senza fretta, poi aveva luogo la passeggiata, si trattava di seguire la povera inferma sostenendola per la cintura. Lo facevo con tutta la dolcezza che mi era possibile; ma se, per disgrazia, faceva un passo falso, subito le sembrava che la tenessi male e che stesse per cadere: « Ah, mio Dio! va troppo svelta, mi romperò qualcosa ». Se cercavo di andare ancora più lentamente, « Ma insomma mi segua, non sento più la sua mano, mi ha lasciata andare, cado, ah, l’avevo detto che era troppo giovane per accompagnarmi» (29r°, 325).

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Dopo una lunga e dolorosa infermità, Luigi Martin si spense il 29 luglio 1894. Teresa scrive a Leonia: “Cara sorellina, Penso a te più che mai, da quando il nostro amatissimo Padre è salito al Cielo, e credo proprio che tu provi le nostre stesse impressioni: la morte di Papà non mi fa l’effetto di una morte, ma di una vera vita. Lo ritrovo dopo sei anni di assenza, lo sento intorno a me che mi guarda e mi protegge!… Cara sorellina, non siamo ancora più unite adesso che guardiamo il Cielo per ritrovarvi un Padre e una Madre che ci hanno offerte a Gesù?… Tra poco i loro desideri saranno compiuti e tutti i gigli che il buon Dio ha loro donati saranno uniti per sempre…” (lv°). Un mese dopo anche Celina, che aveva assistito amorevolmente il padre durante la malattia, si congiungerà alle sorelle nel Carmelo.

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“Quando mi fu dato di penetrare nel santuario delle anime (come vicemaestra delle novizie), capii subito che quel compito era al di sopra delle mie forze. Allora mi sono messa tra le braccia del buon Dio, come un bambino piccolo, e, nascondendo il volto tra i suoi capelli, Gli ho detto: Signore, sono troppo piccola per nutrire le tue figlie; se per mezzo mio vuoi dare loro ciò che conviene a ciascuna, riempi la mia manina e io, senza lasciare le tue braccia, senza voltare la testa, darò i tuoi tesori all’anima che verrà a chiedermi il cibo” (22r°, 310). “Ah, se tutte le anime deboli e imperfette sentissero ciò che sente la più piccola tra tutte le anime, l’anima della sua piccola Teresa, non una sola di esse dispererebbe di giungere in cima alla montagna dell’amore! Infatti Gesù non chiede grandi azioni, ma soltanto l’abbandono e la riconoscenza” (1v°, 243).

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Teresa animava brillantemente le ricreazioni delle sorelle, tanto che se non c’era lei lo si notava subito, perchè la conversazione languiva. Spesso componeva brevi rappresentazioni sacre in occasione di particolari ricorrenze. Un’eco viva suscitò la composizione Giovanna d’Arco compie la sua missione (21 gennaio 1895): le ascoltatrici furono prese da grande e sincero entusiasmo. Ma la sera, nel silenzio, Teresa, che era stata la trionfatrice nel ruolo dell’eroina di Francia, comprese che tutto è vanità e afflizione di spirito: “Invece di farmi male, di portarmi alla vanità, i doni che il Buon Dio mi ha prodigato (senza che io glieli chiedessi) mi portano verso di Lui: capisco che Lui solo è immutabile, che Lui solo può colmare i miei immensi desideri” (81v°, 230).

scrittrice

Per far piacere alle sorelle e per obbedienza, Teresa, due anni prima della morte, inizia a scrivere la storia della sua anima, intitolandola Storia primaverile di un fiorellino bianco: sono i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, trasformati in un canto d’amore alla misericordia preveniente di Gesù; alla sorella Maria, la santa indirizza un breve scritto, dieci paginette in tutto ma fitte fitte, in cui rivela i segreti dell’amore di cui Gesù aveva inondato il so spirito e parla della sua vocazione: “Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’Amore”. Infine alla priora madre Maria di Gonzaga, Teresa dedica i ricordi della sua vita religiosa. I tre manoscritti formano la Storia di un’anima.

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“Allo scopo di vivere in un atto di perfetto Amore,mi offro come vittima d’olocausto al tuo Amore misericordioso, supplicandoti di consumarmi senza posa,lasciando traboccare nella mia anima le onde d’infinita tenerezza che sono racchiuse in te, così che io diventi Martire del tuo Amore, o mio Dio! Questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a te, mi faccia infine morire e la mia anima si slanci senza ritardo nell’eterno abbraccio del Tuo Amore Misericordioso!” (Pr 6, 22) L’atto di offerta fu pronunciato da Teresa l’11 giugno 1895. “Ah, da quel giorno felice, mi sembra che l’Amore mi penetri e mi circondi, mi sembra che ad ogni istante questo Amore Misericordioso mi rinnovi, purifichi la mia anima e non vi lasci nessuna traccia di peccato” (84r°, 238).

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“Da molto tempo avevo un desiderio che mi pareva veramente irrealizzabile, quello di avere un fratello sacerdote. Ed ecco che Gesù non solo mi ha fatto la grazia che desideravo, ma mi ha unita con i vincoli dell’anima a due dei suoi apostoli i quali sono diventuati fratelli miei”.”Ero in lavanderia, molto occupata nel mio lavoro, quando madre Agnese di Gesù mi prese in disparte e mi lesse una lettera che aveva appena ricevuto. Era un giovane seminarista ispirato, diceva, da Santa Teresa che chiedeva una sorella che si dedicasse in modo speciale alla salvezza della sua anima e l’aiutasse con le sue preghiere e sacrifici quando sarebbe stato missionario affinché potesse salvare molte anime” (31v°, 330). Un anno dopo Teresa divenne sorella spirituale di un altro missionario. “Poiché lo zelo di una carmelitana deve incendiare il mondo, spero con la grazia del buon Dio di essere utile a più di due missionari e non potrei dimenticare di pregare per tutti, senza lasciar da parte i semplici sacerdoti, la cui missione è talvolta così difficile da compiere quanto quella degli apostoli che predicano agli infedeli” (33v°, 164).

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“Il giorno del Venerdì santo (1896) Gesù volle darmi la speranza di andare presto a vederlo in Cielo… Oh, come è dolce quel ricordo!… Dopo essere rimasta al Sepolcro fino a mezzanotte, tornai in cella; ma avevo appena avuto il tempo di posare la testa sul cuscino che sentii come un fiotto che saliva, che saliva gorgogliando fino alle labbra. Non sapevo cosa fosse, ma pensavo che forse stavo per morire e la mia anima era inondata di gioia!… Tuttavia, siccome la nostra lampada era spenta, mi dissi che bisognava aspettare il mattino per assicurarmi della mia felicità, perché mi sembrava che fosse sangue quello che avevo vomitato. Il mattino non si fece attendere a lungo. Quando mi svegliai pensai subito che avevo qualcosa di gioioso da scoprire; avvicinandomi alla finestra potei constatare che non mi ero sbagliata… Ah, avevo l’anima piena di grande consolazione, ero intimamente persuasa che Gesù, nel giorno anniversario della sua morte, voleva farmi udire un primo invito! Era come un dolce e lontano mormorio che mi annunciava l’arrivo dello Sposo” (MsC, 5r°).

20
L’infermiera le aveva consigliato di fare tutti i giorni una passeggiatina d’un quarto d’ora in giardino, e questo consiglio era divenuto per Teresa un comando. In un pomeriggio, una suora, vedendola camminare con grande fatica, le disse: “In queste condizioni farebbe molto meglio a risposarsi, perché la passeggiata non può esserle vantaggiosa. Così si esaurisce!” “è vero, rispose Teresa, ma sa lei chi me ne dà la forza ? Ebbene! Cammino per un missionario. Penso che laggiù, lontano, uno di loro si è forse esaurito nei suoi viaggi apostolici, ed io offro le mie fatiche al buon Dio per diminuire le sue” (QG, maggio).

17
Tempo permettendo, la portano in carrozzella lungo il viale degli ippocastani. è qui, mentre è tormentata dalla prova delle fede, che Teresa scrive le ultime pagine della sua storia: “Gesù permise che la mia anima fosse invasa dalle tenebre più fitte e che il pensiero del Cielo, così dolce per me, non fosse altro che un motivo di lotta e di tormento!… Questa prova non doveva durare solo qualche giorno, qualche settimana; sarebbe svanita solo nell’ora stabilita dal Buon Dio e… quest’ora non è ancora arrivata… Quando canto la felicità del cielo, il possesso eterno di Dio, non provo gioia alcuna, perché canto semplicemente ciò che voglio credere. Ma, Signore, tua figlia accetta di mangiare per quanto tempo vorrai il pane del dolore e non vuole affatto alzarsi prima del giorno che hai stabilito da questa tavola piena di amarezza alla quale mangiano i poveri peccatori, prima del giorno che voi avete segnato” (6r°, 277).

14
Sotto il porticato del giardino, Teresa trascorre gli ultimi istanti all’aria aperta. Spesso ripete alcuni versi che ha composto per le sue sorelle:
“Morir d’Amore! è assai dolce martirio,
che vorrei appunto per te patire!
O Cherubini, accordate la lira:
del mio esilio io sento già la fine.
Fiamma d’Amor, continua a consumarmi!
Vita fugace, pesa il tuo fardello!
Gesù Divino, il mio sogno adempi:
morir d’Amore!” (PS 8, P 43).
Nel retro di un’immaginetta, sulla quale aveva incollato il fiorellino bianco che papà le aveva donato un giorno lontano, Teresa traccia le sue ultime righe: “Oh Maria, se io fossi la Regina del cielo e voi foste Teresa, vorrei essere Teresa affinché voi foste la Regina del cielo”.

47
“Sento di avviarmi al riposo. Ma soprattutto sento che la mia missione sta per cominciare: la mia missione di far amare il Signore come io l’amo, e dare alle anime la mia piccola via. Se Dio misericordioso esaudisse i miei desideri, il mio paradiso trascorrerà sulla terra fino alla fine del mondo. Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra. Vedrete, dopo la mia morte sarà come una pioggia di rose” (QG 9.6.3).

41
30 settembre 1897: “Alle 7 e qualche minuto, avendo Nostra Madre congedato la comunità, Teresa sospirò: Madre mia! Non è ancora l’agonia?… Non morirò?… – Sì, mia povera piccola, è l’agonia, ma il buon Dio vuole forse prolungarla di qualche ora. Ella riprese con coraggio: Ebbene!… sù!… sù!… Oh! non vorrei soffrire meno a lungo… E guardando il suo Crocifisso: Oh! lo amo! Mio Dio… ti amo! Improvvisamente, dopo aver pronunciato queste parole, cadde piano all’indietro, la testa reclinata a destra” (QG 30 settembre).