1. Il Santo Curato d’Ars (1786-1859).
Tra tutti i «misericordiosi», una speciale venerazione è dovuta a coloro che sono stati chiamati ad amministrare il sacramento della Misericordia di Dio e hanno adempiuto santamente il loro compito. Era questa la convinzione del Santo Curato d’Ars che amava spesso ripetere: «Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù». E aggiungeva: «Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare a una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina».
Le più tradizionali e care immagini bibliche, al riguardo, non solo erano ricorrenti nella sua predicazione, ma acquistavano una particolare vivacità e realismo: «Nostro Signore – spiegava ai suoi parrocchiani – è sulla terra come una madre che porta il suo bambino in braccio. Questo bambino è cattivo, dà calci alla madre, la morde, la graffia, ma la madre non ci fa nessun caso; ella sa che se lo molla, il bambino cade, non può camminare da solo. Ecco come è nostro Signore; Egli sopporta tutti i nostri maltrattamenti, sopporta tutte le nostre arroganze, ci perdona tutte le nostre sciocchezze, ha pietà di noi malgrado noi».1
A volte accadeva al santo Curato di incontrare qualche penitente sfiduciato e dubbioso del perdono di Dio, per la consapevolezza che avrebbe peccato ancora, e allora egli dava questa incredibile e sublime risposta: «Il buon Dio sa tutto. Prima ancora che voi vi confessiate, sa già che peccherete ancora, e tuttavia vi perdona. Com’è grande l’amore del nostro Dio che si spinge fino a dimenticare volontariamente l’avvenire, pur di perdonarci!». E quando sentiva delle lodi perché nella sua parrocchia si riversava, da tutta la Francia, un fiume di peccatori in cerca di perdono, precisava: «Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono, ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore e lo fa tornare a Lui».
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2. San Leopoldo Mandić (1866-1942).
La stessa cosa accadeva in Italia, a Padova, nella prima metà del sec. XX, al confessionale di un frate cappuccino di origine croata, Leopoldo Mandić2, sempre assediato di penitenti. Per circa trent’anni, egli passò dieci-quindici ore al giorno nel segreto della sua celletta-confessionale, ascoltando e perdonando i peccatori nel nome di Dio. A causa della sua piccola statura e del suo atteggiamento umilissimo c’era, perfino tra i suoi confratelli, chi lo sottovalutava. Dicevano «che era un confessore ignorante, di manica troppo larga, che assolveva tutti senza discernimento» e qualcuno lo chiamava spregiativamente: «Frate assolve-tutti». Ma era il più ricercato.
Lui si scusava umilmente: «Dicono che sono troppo buono, ma se qualcuno viene a inginocchiarsi davanti a me, non è questa una sufficiente prova che vuole avere il perdono di Dio?». «Vedi – spiegava a qualche confratello – ci ha dato l’esempio Lui! Non siamo stati noi a morire per le anime, ma ha sparso Lui il suo sangue divino. Dobbiamo trattare le anime come ci ha insegnato Lui col suo esempio». In un’altra occasione spiegò: «Se il Crocifisso mi avesse a rimproverare della “manica larga” gli risponderei: “Questo cattivo esempio, Signore, me l’avete dato voi! Ancora io non sono giunto alla follia di morire per le anime!”».
E tuttavia questo frate così buono e paterno aveva un segreto: proprio lui che accoglieva tutti, e tutti confortava, e a tutti offriva la certezza della sconfinata Misericordia di Dio, proprio lui provava per se stesso un continuo sconvolgente timore del giudizio di Dio, anche se ammetteva umilmente di non aver mai commesso un grave peccato, tanto che poteva affermare: «Mi sento l’anima ancora bambina!».
A P. Leopoldo, dunque, fu chiesto di vivere ed esperimentare (anche per i suoi penitenti) tutta la drammatica e dolorosa bellezza di questo sacramento. Negli ultimi anni era così turbato che, a volte, passava la notte a piangere e lo assaliva un terrore indefinito e cercava – come Gesù nell’orto – qualche persona amica che gli tenesse compagnia. Dissero i testimoni che, anche sul letto di morte, «sembrava come Gesù in croce, quando su di lui pesava tutto il peccato del mondo e si sentiva abbandonato dal Padre celeste». Solo la parola del suo confessore lo tranquillizzava interamente, quando su di lui scendeva quella stessa grazia del perdono che egli aveva distribuito agli altri.
Non c’era in lui nessuna fragilità psicologica o debolezza senile, ma una particolarissima decisione di Gesù di farlo partecipare al dramma della sua passione. Gli altri potevano discutere sul problema del rapporto indissolubile che deve sussistere tra la Misericordia di Dio e la sua Giustizia, Padre Leopoldo doveva viverlo facendo compagnia a Cristo crocefisso. Così ai peccatori egli riservava tutta la misericordia, mentre nel suo cuore custodiva tutti i diritti della Giustizia di Dio, tanto che ai penitenti – dopo averli perdonati – diceva: «Farò penitenza io!».
Non è facile spiegare la gloriosa e difficile missione che Dio affidò a P. Leopoldo di vivere ed esperimentare (anche per i suoi penitenti) tutta la drammatica e dolorosa bellezza di questo sacramento, così spesso trascurato dai cristiani. Troppi dimenticano, infatti, che esso è (assieme all’Eucaristia) il cuore bruciante del cristianesimo. A ogni cristiano bisognerebbe ripetere instancabilmente: il mistero della Redenzione riguarda proprio te, proprio il tuo bisogno di salvezza, proprio il tuo destino! Ed è nel sacramento della confessione che tu puoi prendere parte personalmente alle vicende della passione di Cristo: prima con la consapevolezza d’aver crocifisso il Signore della vita (l’accusa dei peccati), poi con la riconoscenza, il ringraziamento e l’adorazione (nel perdono).
Ed è qui che il sangue versato da Gesù sulla Croce scende direttamente sulla tua anima.
Note:
1 Curato d’Ars, Scritti scelti, Città Nuova, Roma 1976, p. 72. Per le altre citazioni, cfr.; Nodet, Le curé d’Ars. Sa pensée – Son cœur, éd. Xavier Mappus, Paris 1995, p. 5, 130, 128.
2 Per tutta la documentazione cfr. P. E. Bernardi, Leopoldo Mandic. Santo della riconciliazione, ed. Cappuccini di Padova, 1983.
P. Antonio Maria Sicari ocd