Thérèse Françoise Marie Martin – santa Teresina, Teresa di Lisieux, santa Teresa del Bambin Gesù, Suor Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo o come si preferisca chiamarla – è vissuta solo 24 anni. Nata ad Alençon, nel nord della Francia, il 2 gennaio 1873 è morta nel Carmelo di Lisieux (ancora più a nord) il 30 settembre 1897. La sua festa liturgica ricorre il 1º ottobre.
È stata – ed è – tutto: pur essendo vissuta in clausura è la patrona delle missioni dal 1927. Assieme a Giovanna d’Arco è patrona di Francia. Dal 1997 è anche Dottore della Chiesa (la terza donna con questo titolo dopo Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d’Avila) pur non avendo scritto alcuna opera dottrinale in senso stretto. La sua Storia di un’anima (non un libro vero e proprio, ma l’unione di tre diari scritti per obbedienza) è stato il libro religioso più letto del Ventesimo secolo – «dopo i vangeli» precisa il sito radiosantateresa.it – come se i vangeli fossero un libro religioso. Il luogo in cui riposa, la Basilica di Lisieux eretta in suo onore, è la meta di pellegrinaggio più frequentata di Francia dopo Lourdes. A lei si attaglia perfettamente l’inverso della chiusa di quel libro – famoso negli anni in cui Teresa veniva beatificata – in cui Giovanni Papini rivendicava il diritto a non credersi finito dichiarando orgogliosamente: «non sono più nulla perché volli esser tutto».
Teresina è quello che è perché ha voluto esser nulla. Ha perso la madre da piccola, è entrata giovanissima al Carmelo con le sorelle, cosa che le ha procurato una serie di difficoltà perché rischiava di essere troppo coccolata, e non voleva. Ha perso il padre per una grave malattia mentale mentre era in convento e non poteva assisterlo. È stata per anni vittima della «terribile malattia degli scrupoli», che la facevano credere in permanente stato di peccato e vivere in un continuo senso di colpa nei confronti di tutto e di tutti.
Si è offerta come vittima di espiazione all’amore misericordioso per i peccati di coloro che non li riconoscevano e – quindi – non potevano chiedere perdono. E ne ha avuto in risposta la tubercolosi di cui è morta e la buia notte dello spirito ricordata da papa Francesco in santa Marta, nell’omelia sul terzo capitolo di Giobbe. Santa che più santa non si può ebbe la tentazione prolungata di pensare che al termine della vita ci sarebbe stato solo il niente. Studi psicologici e psicoanalitici hanno portato a dubitare della sua sanità mentale. Altri hanno affrontato la tentazione ateo-materialista che sarebbe presente in Thérèse Martin, ossia santa Teresina senza “santa”. Una cosa sola mantenne salda nella sua esistenza: la disposizione ferrea a dialogare – sempre e comunque, anche in mancanza di qualsiasi risposta – col suo Signore, specialmente nel suo aspetto di Bambino. Voleva essere santa. Una grande santa. Sognava di essere Giovanna d’Arco. Voleva diventare sacerdote. Voleva servire il suo Signore a tutti i costi.
Nelle foto ha sempre una faccina furba. Nel 1887, per i 50 anni di sacerdozio di Papa Leone XIII – il papa della Rerum Novarum – due diocesi francesi organizzarono un pellegrinaggio a Roma che doveva durare l’intero mese di novembre. Durante l’udienza papale, nonostante il divieto di parlare in presenza del Papa imposto dal vescovo che guidava il pellegrinaggio, Teresa si inginocchiò davanti al Pontefice per chiedergli di permetterle di entrare in monastero nonostante la giovanissima età. Papa Leone le rispose che non poteva darle questo permesso, che competeva al suo vescovo, ma che se Dio lo desiderava, il suo desiderio si sarebbe certamente adempiuto. In effetti il vescovo diede il permesso pochi giorni dopo. Niente di strano in tutto ciò, non fosse che Teresa, per apparire più grande della sua età, si era presentata al papa con degli asciugamani sotto il vestito che le aumentavano le dimensioni del seno.
La Storia di un’anima è piena di eventi di questo genere, piccoli episodi che si fanno grandi perché in ciascuno di essi compare una donna sempre impegnata in un corpo a corpo col suo interlocutore divino. Da come ne parla, qua e là, anche il nostro papa Francesco sembra impegnato in questa conversazione apparentemente a-teologica e in realtà la sola attività necessaria nella “piccola via” che permette di attraversare senza disperare il male, la sofferenza, la sensazione di inutilità, l’incombere del nulla che ci assale dalla mattina alla sera. E la notte.