Una chiave di lettura per comprendere il messaggio di S.Teresa di Lisieux

Che cos’è l’infanzia spirituale? Come interpretare l’espressione evangelica “se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”? L’esperienza spirituale di Teresa di Lisieux, recentemente indicata da Giovanni Paolo II come “dottore della Chiesa” e, per questo, luogo di comprensione del senso della vita umana e della fede, ci istruisce.
E’ stupefacente come la piccola Teresa, la santa dell’”infanzia spirituale”, descriva la necessità di uscire dall’infanzia per poter veramente amare il Signore. “Infanzia spirituale” non significa, nel suo messaggio, presunta innocenza dell’età infantile (come una valutazione superficiale dell’espressione potrebbe far pensare), o ancora nostalgia di un ritorno ai primi anni della vita intesi come modello tout court – che anzi essi sono visti come età di ipersensibilità ed eccessivo attaccamento a se stessi. Nel descrivere la grazia del Natale che ricevette nel 1886, la grazia della “conversione”, la descrive proprio come l’uscita dall’infanzia. Possiamo qui leggere il testo stupendo scritto dalla stessa Teresa che descrive questo momento:

132 – Se il Cielo mi colmava dì grazie, non era già perché io le meritassi, ero ancora tanto imperfetta! Avevo, è vero, un gran desiderio di praticare la virtù, ma lo facevo in un buffo modo, ecco un esempio: poiché ero l’ultima, non ero avvezza a servirmi, Celina faceva la camera ove dormivamo e io non facevo nessun lavoro domestico; dopo che Maria fu entrata nel Carmelo, mi accadeva talvolta, per far piacere al buon Dio, di rifarmi il letto, oppure, in assenza dì Celina, rimettere dentro, a sera, i suoi vasi da fiorì: come ho detto, era per il buon Dio solo che facevo quelle cose, perciò non avrei dovuto attendere il grazie delle creature. Ahimé! Le cose andavano ben diversamente; se per disgrazia Celina non aveva l’aspetto felice e stupito per i miei servizietti, non ero contenta, e glielo provavo con le lacrime… Ero veramente insopportabile per la mia sensibilità eccessiva. Così, se mi accadeva di dare involontariamente un po’ di dispiacere a qualcuno cui volessi bene, invece di dominarmi e non piangere, ciò che ingrandiva il mio errore anziché attenuarlo, piangevo come una Maddalena, e quando cominciavo a consolarmi della cosa in sé, piangevo per aver pianto… Tutti i ragionamenti erano inutili e non potevo arrivare a correggermi di questo brutto difetto.

133 – Non so come io mi cullassi nel pensiero caro di entrare nel Carmelo, trovandomi ancora nelle fasce dell’infanzia! Bisognò che il buon Dio facesse un piccolo miracolo per farmi crescere in un momento, e questo miracolo lo compì nel giorno indimenticabile di Natale (N.d.T. Notte tra il venerdì 24 e sabato 25 dicembre 1886); in quella notte luminosa che rischiara le delizie della Trinità Santa, Gesù, il Bambino piccolo e dolce di un’ora, trasformò la notte dell’anima mia in torrenti di luce… In quella notte nella quale egli si fece debole e sofferente per amor mio, mi rese forte e coraggiosa, mi rivestì delle sue armi, e da quella notte benedetta in poi, non fui vinta in alcuna battaglia, anzi, camminai di vittoria in vittoria, e cominciai, per così dire, una “corsa da gigante” (N.d.T. Sal 18, 6). La sorgente delle mie lacrime fu asciugata e non si aprì se non raramente e difficilmente, e ciò giustificò la parola che mi era stata detta: “Piangi tanto nella tua infanzia, ché più tardi non avrai più lacrime da versare!”.
Fu il 25 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire dall’infanzia, in una parola la grazia della mia conversione completa. Tornavamo dalla Messa di mezzanotte durante la quale avevo avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente. Arrivando ai Buissonnets mi rallegravo di andare a prendere le mie scarpette nel camino, quest’antica usanza ci aveva dato tante gioie nella nostra infanzia, che Celina voleva continuare a trattarmi come una piccolina, essendo io la più piccola della famiglia…

A Papà piaceva vedere la mia felicità, udire i miei gridi di gioia mentre tiravo fuori sorpresa su sorpresa dalle “scarpe incantate” e la gaiezza del mio Re caro (N.d.T. con l’espressione “il mio Re” Teresa designava il suo papà) aumentava molto la mia contentezza, ma Gesù, volendomi mostrare che dovevo liberarmi dai difetti della infanzia, mi tolse anche le gioie innocenti di essa; permise che Papà, stanco dalla Messa di mezzanotte, provasse un senso di noia vedendo le mie scarpe nel camino, e dicesse delle parole che mi ferirono il cuore: “Bene, per fortuna che è l’ultimo anno!… “. lo salivo in quel momento la scala per togliermi il cappello, Celina, conoscendo la mia sensibilità, e vedendo le lacrime nei miei occhi, ebbe voglia di piangere anche lei, perché mi amava molto, e capiva il mio dispiacere. “Oh Teresa! – disse – non discendere, ti farebbe troppa pena guardare subito nelle tue scarpe”. Ma Teresa non era più la stessa, Gesù le aveva cambiato il cuore! Reprimendo le lacrime, discesi rapidamente la scala, e comprimendo i battiti del cuore presi le scarpe, le posai dinanzi a Papà, e tirai fuori gioiosamente tutti gli oggetti, con l’aria beata di una regina. Papà rideva, era ridiventato gaio anche lui, e Celina credeva di sognare! Fortunatamente era una dolce realtà, la piccola Teresa aveva ritrovato la forza d’animo che aveva perduta a quattro anni e mezzo (N.d.T. al momento della morte della madre), e da ora in poi l’avrebbe conservata per sempre!

134 – In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita, più bello degli altri, più colmo di grazie del Cielo. In un istante l’opera che non avevo potuto compiere in dieci anni, Gesù la fece contentandosi della mia buona volontà che non mi mancò mai.

Come i suoi apostoli avrei potuto dirgli: “Signore, ho pescato tutta la notte senza prender nulla”; più misericordioso ancora per me che non per i suoi discepoli, Gesù prese egli stesso la rete, la gettò e la tirò su piena di pesci. Fece di me un pescatore di uomini, io sentii un desiderio grande di lavorare alla conversione dei peccatori, un desiderio che non avevo provato così vivamente… Sentii che la carità mi entrava nel cuore, col bisogno di dimenticare me stessa per far piacere agli altri, e da allora fui felice!
(dal Manoscritto autobiografico A)

Sullo stesso incontro di grazia insiste un altro testo di Teresa, una lettera inviata a p.Roulland, che completa le indicazioni, della Storia di un anima:

La notte di Natale del 1886 fu, è vero, decisiva per la mia vocazione, ma, per essere più esatta, devo chiamarla: la notte della mia conversione. In questa notte benedetta, della quale è scritto che rischiara le delizie stesse di Dio
(N.d.T. Sal 138, 10 Et nox illuminatio mea in deliciis meis), Gesù che si faceva bambino per amore mio, si degnò di farmi uscire dalle fasce e dalle imperfezioni dell’infanzia, Mi trasformò in modo tale da non riconoscermi più. Senza questo cambiamento, sarei dovuta restare ancora chi sa quanti anni nel mondo. Santa Teresa, la quale diceva alle sue figlie: “Voglio che non siate donne in nulla, ma uguali in tutto ad uomini forti” (N.d.T. S.Teresa d’Avila. Cammino di perfezione, 7, 8), santa Teresa non avrebbe voluto riconoscermi per sua Figlia, se il Signore non m’avesse rivestito della sul forza divina, se non m’avesse armata lui stesso per la guerra (Lettera a p.Roulland dell’1/11/1896).

Quale è allora il cuore del messaggio teresiano? Esso non risiede né nell’amore alle piccole cose, né nell’aspirazione alle grandi opere compiute per Dio. Esso consiste piuttosto nella totale confidenza nella misericordia che Dio ha per Teresa, desideri essa le piccole o le grandi cose. Il punto di riferimento non è interno, ma esterno. E’ la contemplazione dell’immensa misericordia di Dio. E’ questa “speranza cieca” di essere figlia del Padre il punto fermo di tutto un cammino di santità. Così lo descrive la stessa Teresa in un’altra lettera, scritta a sr. Maria del Sacro Cuore:


J. M. J. T.
17 settembre 1896

Gesù

Mia cara sorella,
Non mi trovo per nulla imbarazzata a darle una risposta… Come può chiedermi se può amare il buon Dio come me?… Se avesse capito la storia del mio uccellino (N.d.T. allude ad un passo del Manoscritto autobiografico B), non mi farebbe una simile domanda. 1 miei desideri di martirio sono un bel nulla e non è di qui che nasce quella fiducia illimitata che sento nel cuore. A dir la verità, son proprio ricchezze spirituali che rendono ingiusti (N.d.T. Lc 16, 11), quando ci si appoggia ad esse con compiacenza e si crede che siano qualcosa di grande.
Questi desideri sono una consolazione che Gesù concede talvolta alle anime deboli come la mia (e queste anime sono numerose), ma quando non dà questa consolazione, è una grazia di privilegio. Si ricordi delle parole del padre
(N.d.T. P.Pichon, S. J., in un ritiro predicato alle Carmelitane di Lisieux, nell’ottobre 1887): “I martiri hanno sofferto con gioia e il Re dei martiri ha sofferto con tristezza”.
Sì, Gesù ha detto: “Padre, allontana da me questo calice!”.
Dopo tutto ciò, come può dire, sorella cara, che i miei desideri sono il segno del mio amore? Ah! sento bene che non è affatto questo che piace al buon Dio nella mia piccola anima. Quello che piace a lui, è di vedermi amare la mia piccolezza e la mia povertà, è la speranza cieca che ho nella sua misericordia. Ecco il mio solo tesoro, madrina cara. Perché questo tesoro non potrebbe essere il suo?…

Un passo teresiano, in particolare, pensiamo possa essere letto come figura di tutta la teologia spirituale di Teresa di Lisieux e servire come sintesi della sua proposta di “dottore della Chiesa”.

Sono veramente lontana dall’essere una santa, solo questo ne è già la prova; invece di rallegrarmi per la mia aridità, dovrei attribuirla al mio poco fervore e fedeltà, dovrei sentirmi desolata perché dormo (da 7 anni) durante le mie orazioni e i miei ringraziamenti, ebbene, non sono desolata… penso che i bambini piccoli piacciono ai loro genitori quando dormono come quando sono svegli; penso che per fare delle operazioni, i medici addormentano i malati. Infine penso che “il Signore vede la nostra fragilità, e si ricorda che noi siamo solo polvere” (Manoscritto “A” cap.8, paragrafo 215).

In questo straordinario passaggio Teresa mostra ulteriormente la sua coscienza di come la piccolezza, l’infanzia proclamata da Gesù nei Vangeli come condizione necessaria per entrare nel Regno, consista allora nell’essere “figli” del Padre. Qualsiasi cosa faccia, un figlio è amato. Vegli o dorma, non è per questo meno figlio. Il Padre conferma ogni desiderio grande di santità, ogni uscita dalla fanciullezza del proprio figlio, ma è anche il Padre della debolezza e del sonno dei momenti nei quali ogni figlio non è neppure cosciente di essere tale. Ciò che conta non è più, allora, l’opera particolare che si compie, che sarà a volte enorme, altre volte piccolissima, ma una vita che è sostenuta dalle braccia del Padre. In questa qualità di rapporto sta il segreto della “piccola” Teresa.

Questi brevissimi appunti sono ispirati dalla lettura dell’importantissimo volume di G.Moioli, L’esperienza cristiana di Teresa di Lisieux. Note introduttive, Glossa, Milano, 1998, a cui rimandiamo.

Andrea Lonardo

Posted in .