Una vita di desiderio

Quando in silenzio ci rechiamo in coro, qualche minuto prima che inizi la preghiera comunitaria, è interessante osservare come la vita di ciascuna di noi resti lì, in attesa di un inizio corale, ecclesiale, nonché intimo e personale… in attesa di Dio. Stiamo ferme, davanti a Lui, senza vederlo, e non conosciamo la sua risposta alla nostra attesa. Noi siamo là, cariche di una speranza che domina e sostiene la nostra adorazione come qualsiasi combattimento interiore, qualsiasi invocazione, qualsiasi intercessione. In quei momenti, che si ripetono più volte al giorno, è come se si rappresentasse plasticamente lo stile della nostra vita monastica: vivere ogni tempo dentro la tensione di un desiderio inappagato… in attesa dello Sposo. Questo desiderio/attesa attraversa infatti, ogni momento della vita, con delle fasi precise, grazie alle quali si purifica, si intensifica trasformandosi, gradualmente, in passione orante.

Così, durante la giornata, i tanti e preziosi momenti di silenzio, si configurano come una sorta di tempo sospeso nel quale, l’incontro con la Parola, la preghiera personale, la lettura spirituale, il ritmo ripetitivo del lavoro manuale, diventano come setaccio dentro cui il desiderio è posto in crisi (dal verbo greco krino = separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare), e siamo chiamate a verificare cosa effettivamente stiamo aspettando, cosa o chi desideriamo realmente, a cosa è attaccato il nostro cuore, quali sono le nostre priorità o le nostre aspirazioni… Come un lungo esame di coscienza, il tempo per la monaca si snoda come luogo della purificazione del desiderio, spazio privilegiato nel quale la sincerità su noi stesse è chiamata a convertirsi in “verità”… un continuo, faticoso ma amoroso allenamento a riconoscere e dimorare in una Presenza.

Proprio dentro la Parola quando ci incontriamo con le domande di Gesù: Chi cercate? La gente chi dice che io sia, donna cosa desideri? ecc.; o anche con le svariate richieste di avanzate a Lui dai molti che lo cercano… nelle sue esperienze di incontro, amicizia, con i tanti chiamati: Simone, Andrea Giovanni, Levi ecc.; o di purificazione e redenzione con i vari ciechi, sordi, indemoniati, lebbrosi, Zaccheo, Maddalena, emorroissa, ecc.; o ancora di fronte agli avvenimenti cruciali della sua passione, morte e Risurrezione…. la nostra vita si riflette come in uno specchio, possiamo scrutare da vicino e con verità, i moti del cuore e riconoscerci bisognose di misericordia proprio come l’uno o l’altro personaggio del vangelo che ha occhi e non vede o che ha il cuore indurito o è di dura cervice o la cui fede lo ha salvato o, addirittura, che è stato salvato dalla fede di altri che intercedono…. Anche a noi Gesù, infatti, chiede: cosa vogliamo, chi cerchiamo, chi lo ha toccato…. ed è lì, in quel frangente di interiorità, che si rivela la qualità, la direzionalità del nostro più vero e profondo desiderio. In questa familiarità e confidenza con la Parola meditata e pregata, possiamo interrogare radicalmente noi stesse, prendere realmente coscienza dei nostri desideri, delle motivazioni profonde che fattivamente orientano le nostre azioni e la nostra stessa sequela, possiamo disporci a scrutare e decifrare cosa sottendono le nostre attese, le nostre ansie, le illusioni o le delusioni più o meno inespresse.

Ecco perché la vita monastica, vissuta integralmente come continua attesa dello Sposo, diviene spazio di conversione, di purificazione, di trasformazione; ecco perché è chiamata a diventare declinazione orante di ogni frammento di vita…. pathos, che mantiene incessante in cuore l’invocazione: «O Dio tu sei il mio Dio, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua… Nel mio giaciglio di te mi ricordo, penso a te nelle veglie notturne» (dal Sal 62); pathos che ci “costringe” ad una vigilanza ininterrotta, all’affinamento dell’udito spirituale, che ci consenta di sentire i passi del Veniente, e non ci faccia correre il rischio di accontentarci di “quanto basta”, o di lasciare che il desiderio si appanni davanti ai momenti bui, alle aridità, alle fatiche interne ed esterne e scivoli lentamente, dentro un involucro di indifferenza, verso il: “non c’è niente di male” portandoci poco a poco a riempire la vita di compensazioni, di compromessi, di distr-azioni che impediscono di fare pienamente l’esperienza della solitudine che apre all’intimità con Dio. Questo pathos che rende la vita orazione, non esprime l’impegno faticoso-sia pur necessario- di una fedeltà a norme o condizioni di un certo tipo di vita, piuttosto realizza, in forma radicale, la tensione verso Dio presente in ogni uomo. La vita monastica dice, cioè, l’attesa di ogni cuore umano, parla di quella ricerca di Assoluto che passa attraverso un desiderio mai appagato, consumante dell’anima, di contemplare, faccia a faccia, il volto del Signore, di ammirarlo, di adorarlo, di amarlo e di sentirsi pienamente assorbite dal suo amore.

Come dice S. Agostino: «Indubbiamente ciò che tu desideri non lo vedi ancora, ma il desiderio ti rende capace, quando verrà ciò che devi vedere, di essere appagato. Supponiamo che tu voglia riempire qualche oggetto a forma di tasca e tu conosca la sovrabbondanza di ciò che stai per ricevere; tu allarghi quella tasca, sacco o otre o altro oggetto del genere; tu sai quanto è grande ciò che vi devi mettere; sforzandolo ne aumenti la capacità. Allo stesso modo Dio, facendo attendere, allarga il desiderio; facendo desiderare ingrandisce l’anima; e ingrandendo l’anima la rende capace di ricevere. Desideriamo dunque, fratelli miei, perché dobbiamo essere appagati».


Monastero Janua Coeli

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